Nel primo articolo di questa nostra serie abbiamo descritto la vastità e la varietà dell’area francoprovenzale. Le valli francoprovenzali in Piemonte che vanno dalla Val Sangone sino alla Valle Orco, passando per la Valle di Susa, la Val Cenischia e le Valli di Lanzo, rappresentano una piccola parte di questo esteso territorio diviso su tre stati: Italia, Francia, Svizzera. Ciò ha inciso enormemente sulla situazione linguistica e sul rapporto che i parlanti hanno costruito con il proprio idioma di riferimento.
Tale premessa è doverosa per capire il destino della letteratura francoprovenzale ovvero di quel corpus di testi scritti francoprovenzali che si sono via via sedimentati nel tempo. Chiaramente non tutti i testi scritti possono essere definiti letterari. La lista della spesa, una lettera privata scritta alla nonna, un testamento non rientrano per forza all’interno di questo capiente contenitore: solo i testi che perseguono precisi fini estetici hanno diritto di fare parte della “letteratura”. In tal senso, a differenza della grande tradizione letteraria occitana, il francoprovenzale ha sempre subito l’egemonia delle grandi lingue letterarie a lui vicine: italiano, francese e occitano.
La frammentazione politica dell’area, divisa tra Francia, Svizzera, Savoia e Piemonte, ora l’Italia, così come il repentino abbandono del francoprovenzale nei grandi centri urbani quali Lione, Grenoble e Ginevra, unici luoghi di diffusione culturale di ampio raggio, ha influito molto sulla presenza di un assai limitato corpus letterario francoprovenzale.
Tuttavia quanto è stato raccolto ed è giunto ai giorni nostri, testimonia un profondo interesse verso la lingua e soprattutto un’identità alquanto marcata del francoprovenzale in relazione all’eterogeneità del contesto limitrofo.
Le prime tracce scritte risalgono al XIII secolo con il testo della mistica Marguerite d’Oingt intitolato La Via seiti Biatrix virgina de Ornaciu (La vita di santa Beatrice di Ornacieux, vergine). Questa autrice è stata la prima a scrivere i suoi pensieri nel francoprovenzale parlato allora nel lionese. Al di là di qualche traduzione di opere latine e di qualche frammento la cui “francoprovenzalità” è ancora in discussione, il periodo medievale non vede una grande creazione letteraria. Con il Cinquecento i testi diventano più numerosi e provengono non solo dalla zona di Lione, ma anche da Ginevra, dalla Savoia e da Grenoble. Del 1555 sono i Noelz e Chansons nouvellement composez tant en vulgaire françoys que savoysien dict patoys (Canti di Natale e canzoni composti sia in francese volgare che in savoiardo detto patois) di Nicolas Martin. È interessante qui notare la presenza della parola “patois” la quale già all’epoca contraddistingueva le parlate savoiarde sino al Piemonte. Accanto al Martin ricordiamo altri autori quali Jehan des Prez e Jacques Gruet di Ginevra, Pierre de Villiers di Lione e Laurent de Briançon di Grenoble. Il fatto che non ci siano autori della zona francoprovenzale del Piemonte non è strano: purtroppo al di qua delle Alpi, nessuna località di parlata francoprovenzale aveva le caratteristiche adatte per potersi imporre in quanto centro di riferimento culturale e linguistico dell’area. Allo stesso modo, la Valle d’Aosta, ancora oggi interessata per la sua interezza dal francoprovenzale e privilegiata rispetto alle politiche linguistiche, dovrà aspettare l’Ottocento e l’opera dell’abate Jean-Baptiste Cerlogne per avere una letteratura valdostana.
Un elemento assai curioso che non possiamo tacere in questo nostro primo approccio alla vicenda letteraria francoprovenzale, è rappresentato dalla presenza di un testo piuttosto particolare intitolato Cé qu’è lainô (Colui che è lassù). Si tratta del primo inno nazionale scritto in Europa ed è attualmente l’inno ufficiale della Repubblica e del Cantone di Ginevra. Composto verso il 1603 da un autore ignoto dopo l’attacco del Duca di Savoia contro la città ginevrina, esso è stato scritto in francoprovenzale e appartiene a una serie di canzoni redatte a seguito di questo duro combattimento.
Prima di concludere vorrei porre in rilievo alcune somiglianze lessicali tra quei testi, scritti appunto molti secoli orsono in ambito transalpino, e le varietà francoprovenzali che ancora oggi parliamo nelle nostre valli. La prima è proprio l’avverbio di luogo Lainô che abbiamo menzionato poco fa. Esso significa “lassù” e lo ritroviamo intatto in Val Cenischia e nella media Val Susa con le forme leinot, leinoû, leinó. Un ulteriore esempio che vorrei sottoporre è tratto da un verso di una canzone di Natale del Martin: Le veille saron en quanet “Le veglie saranno questa sera”. Molto interessante è l’avverbio di tempo en quanet, così come scritto dall’autore cinquecentesco. Ritroviamo la stessa ed identica forma nella Moriana e in Val Cenischia dove ancanèt significa proprio “questa sera” (detto però di giorno per indicare la sera che deve venire).
Quanto detto vuole farci capire come il francoprovenzale parlato ancora oggi abbia delle radici assai profonde e come tali radici affondino in un’area geografica che si estende ben al di là delle Alpi.
Nel prossimo appuntamento proseguiremo con il racconto della storia della letteratura francoprovenzale, avvicinandoci lentamente ai giorni nostri per comprendere che cosa si è fatto e si sta facendo oggi soprattutto nell’ambito del francoprovenzale in Piemonte.
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