Sono molti i suoi nomi nel mondo: Natale, Noël, e l’occitano Nadal traggono origine dal verbo nasci, nascere. Sempre l’occitano Deineal è la trascrizione del latino Dies Natalis e la terza forma occitana conosciuta è Calendas, Chalendas nelle valli occitane. Questa proviene dalle Kalendae romane, che indicavano il primo giorno del mese. Festa cristiana più partecipata e popolare, dunque il Natale affonda le sue radici nelle religioni pagane,conservando attraverso i secoli il suo valore simbolico della vita che vince sulla morte. Questa festa cosmica dal IV secolo d.C. viene trasformata in quella del Dies Natalis Christi, jorno della nascita di Nostro Signore: celebrata clandestinamente prima dell’editto di Costantino, nel 353 il papa Tiberio ne fa una festa di precetto, una “bòna fèsta”, come si dice nelle valli.
Nell’Occitània italiana il Natale richiama la tradizione del presepio: questa parola viene dal latino praesepium o praesepe, che significa greppia. Il presepio in Provenza viene detto betelen o bèlem, pròprio dal nome di Betlemme. Simboli occitani del presepe sono i santini, statuette verso il 1880 che rappresentano tutte le categorie del nostro paese ed anche i personaggi famosi. Nelle valli un’altra espressione di religiosità legata al natale sono i numerosi affreschi sulla Natività presenti in tutte le valli e risalenti al XV secolo. Ricchi di simbologie oggi dimenticate, rappresentano un patrimonio d’arte e sapere antico.
La messa di mezzanotte, tradizione che risale al V secolo, veniva normalmente dopo la veglia, spazio riservato alle rappresentazioni sacre ed alla musica. Protagonisti della notte di natale erano i Novè, cant sulla Natività:destinati nel Medioevo soltanto ai preti, in seguito son diventati la principale espressione di devozionale del popolo, anche di quello alpino, come dimostrano lhi novè del XVIII secolo rinvenuti ad Argentera, in valle Stura, e a Chianale, in val Varaita.
Lhji novè più antici d’Occitania, i Nadaus de Nòstra Dòna dei Doms, risalgono agli anni tra il 1570 e il 1610, ma i più noti sono sicuramente quelli di Nicolas Saboly, che tra il 1669 e il 1674 realizza una pubblicazione di canti di Natale della Provenza.
Nella Tradizione del Natale Occitano, soprattutto nelle regioni povere, il pasto della Vigilia era una delle rare occasioni per uscire da un’alimentazione certamente né ricca né abbondante. Il menú proponeva “lo maigre”, privo di carne rossa: protagonista sulle tavole d’allora era, al mare come in montagna, il merluzzo: i nobili ed i ricchi prediligevano il cappone. Nel menú provenzale semplice la fantasia partiva dai dolci, tredici come gli invitati all’Ultima Cena. Torte, frutta fresca e secca, tutti con una precisa simbologia.
Le feste di Natale si concludono con l’Epifania, termne che significa apparizione dei tre Re Magi. In questa occasione, così come il primo giorno dell’anno, il padrino donava e dona ancor oggi al figlioccio, come simbolo di buona fortuna, il preirin o chicho, pupazzo di marzapane a forma di uomo.
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