“L'artista poeta Lance David Henson, che crea, cantando, nuove narrazioni mitologiche per una nazione, quella Cheyenne, la cui storia non appartiene all'America, ma individua nella dimensione parallela una opportunità di sopravvivenza” è stato ospite del Premio Ostana “Scritture in lingua madre” nei giorni 31 maggio, 1, 2 giugno.
Caro Lance, il tuo lavoro si incentra specialmente sulla produzione letteraria di poesie e poemi. Da dove nasce questo forte bisogno di comporre?
La Poesia è il messaggero preferenziale dei primi popoli antichi, che si sono forgiati nella lotta quotidiana per la sopravvivenza con testimonianze epiche sulle quali si basano le varie culture. Sin da bambino i miei nonni, le zie e gli zii, appartenenti al popolo tradizionale Cheyenne, sono stati la mia guida attraverso le vie della medicina della Chiesa Nativa Americana. Con il Sundance e le altre tradizioni hanno instillato in me un senso di meraviglia e di stupore che porto con me ancor oggi. Anche i miei dischi autobiografici sono un esercizio di pratiche di questi metodi.
Quando sei arrivato in Italia?
Sono venuto in Europa nel 1985 invitato dal dr Franco Meli dell'università Iulm di Milano come poeta del “misticismo magico realista” cheyenne, poiché egli aveva già tradotto Scott Momaday, il romanziere vincitore del Premio Pulitzer, con la “Casa fatta di alba”.
Meli aveva, successivamente, tradotto anche il mio libro “Un altro canto per l'America”. Il libro venne esaurito alla prima stampa in pochi mesi, così il Dr Meli mi invitò a tenere una conferenza presso la sua università.
Tra gli anni 1985 al 1995, i miei libri sono stati pubblicati in Polonia, Olanda, Germania ed in Francia. Fino a questo momento dagli anni ’70 in poi, Ivar Ivask, mio buon amico ed editore di letteratura mondiale, oggi in Oklahoma, aveva diffuso 12 dei miei libri, tra cui “Denominazione del buio”, di Riders Point Press, in Russia.
Prima della caduta del muro di Berlino, un giornalista tedesco ed io abbiamo realizzato alcune iniziative proibite, leggendo libri di letteratura sui nativi americani, presso la Hofstra University, a Berlino est.
Da quando nasce questa passione per la scrittura di poesie?
A dodici anni ho dedicato la mia vita alla disciplina della poesia. Io paragono i poeti zen dell'Estremo oriente del VI secolo, o le arti marziali del Tai Kwon Do, del Kung Fu o dell'Aikido alle dolci parole del feroce Toro Seduto e di Cavallo Pazzo.
Cantare poesie è una vocazione che costringe uno a svegliarsi in un atto di accoglienza di se stesso. Sogno di essere sempre consapevole delle mie attività mitologiche. Quando vivevo in campagna vicino a Calumet mi sentivo così forte da chiedermi dove la dedizione mi avrebbe portato. Non sono ancora arrivato lì.
Qual è il tuo approccio alla produzione poetica?
Provengo da quella che è conosciuta oggi come la costa orientale dell'America. Questo mi serve per affermare che la mia poesia ha tutta un'altra prospettiva. Grazie alle nostre mitologie originali, sappiamo che il nostro alfabeto contiene meno di 20 lettere e quando è scritto sembra avere parole lunghe ma le parole sono semplicemente collegate senza l'uso di regole grammaticali occidentali. La lingua inglese, ad esempio, usa lettere, ma è diversa nella pronuncia da qualsiasi parola in inglese e di conseguenza da qualsiasi altra lingua tribale.
Non è sorprendente che le storie, antiche e contemporanee, di tante tribù d'America non siano note nella stessa America negli stati in cui risiedono. Ora i Cheyenne e gli Arapaho, con diverse altre tribù, hanno istituito dei propri colleges, scuole superiori, per diffondere la loro cultura. All'interno dei curricula di questi colleges esiste un intenso programma di lingua madre. Nella mia tribù la nostra lingua è stata da sempre utilizzata per comunicare all'interno dei nuclei famigliari che sono tradizionalmente molto ampi. Le cerimonie antiche sono anche quelle rimaste intatte... La nostra logica indigena è cosmica e fondamentale, non lineare e non western (ndr: americanizzata). E questo è rimasto il sistema fondante della nostra sopravvivenza. Il mio desiderio come poeta è di poter registrare questi sistemi orientati alla fondazione di una nuova narrazione mitologica.
A fianco dell’attività di poeta, hai portato avanti una carriera da musicista di tutto rispetto…
Nel 1991 il mio primo album di rock and roll venne prodotto dalla Records Ampio di Pisa. La prima canzone autobiografica, “Lance Henson and friends” è stata una collaborazione della mia band con diversi altri musicisti rock. Questo album è oggi considerato un culto nel rock classico italiano. Attraverso questo album ho conosciuto il movimento dei centri sociali in Italia. Questo movimento nasceva in protesta dei giovani italiani contro il governo. Edifici abbandonati venivano abitati da questi giovani rivoluzionari, da persone senza fissa dimora e da immigrati per risiedervi, per suonare e incontrarsi o semplicemente per mangiare. Ho cominciato a leggere e registrare in queste arene alternative. Mi fu presto chiaro che la mia poesia era adatta per questo tipo di sperimentazione sociale sul “confine”.
Come prosegue poi il tuo cammino di poeta e artista in Europa?
Come il mio amico Jim Harrison, sono venuto in Europa negli anni '80 perché qui il nostro lavoro è stato più accettato e facilmente pubblicato rispetto che negli Stati Uniti. Attraverso un incontro con il poeta svedese Thomas Tranströmer fui poi coinvolto nel progetto sperimentale “Dream theater of Europe”, movimento che si focalizzò sui concetti dell'ermetismo della Terra orientati al campo della creatività. Nel 1988 sono stato invitato a parlare ad un gruppo di lavoro sulle popolazioni indigene, ospite delle Nazioni Unite a Ginevra, Svizzera. Ho partecipato a quegli incontri fino al 2006 quando il gruppo di lavoro è stato costretto a trasferirsi presso l'Onu a New York ed io mi sono fermato in Italia.
Parlami della tua poesia e di come cerchi di tutelare e tramandare la tua lingua madre, il Cheyenne.
La poesia è una disciplina che sto ancora cercando di acquisire. Sembra, come poeta, che io stia facendo come il capo cuoco di un monastero zen, direi... come se stessi ancora cucinando la mia poesia. Ho iniziato con il mio primo libro nel 1969, “Custode delle frecce” per rendere omaggio ai miei nonni, che mi hanno cresciuto, e alla mia tribù. Le semplici poesie di questo volume riflettevano la tipica canzone cheyenne. Il mio lavoro attuale è stato ben poco deviato rispetto a questo credo iniziale che seguo. Ho trovato tracce simili in poeti che vivono situazioni di repressione e sfruttamento, come in luoghi remoti in Papua Nuova Guinea e in città di banditi come Orgosolo in Sardegna. Ho avuto la fortuna di incontrare e di fare letture con i poeti che leggo e che ho ammirato come uno studente.
Sei in contatto con altri poeti Cheyenne?
Io sono uno dei membri fondatori dell'IAO, un'organizzazione degli anni '80 che conta diversi artisti, ma che non deve pagare debiti o dazi a nessuna organizzazione. Mi tolgo il cappello di fronte a persone come Richard Whitman, Frank Parman e il compianto Betty Shipley per l'illuminazione che hanno portato come artisti dell'Oklahoma.
Mi piace ricordare gli incontri iniziali per formare gli artisti dello IAO, sia professionali che non professionali. Abbiamo voluto offrire un'alternativa e vedere lo IAO nascere e fiorire è un sogno realizzato in risposta ad un repubblicanesimo che domina troppo spesso e offusca lo stato. Lo stato dell'Oklahoma, per fortuna, ha un'idea pluralista e più dinamica di se stesso. Gli scrittori, gli artisti, i danzatori e gli studiosi che da qui provengono si sono distinti nel mondo. Il numero di indigeni poeti, scrittori e attori dell'Oklahoma sono una ricca risorsa per la comunità umana. Mi ritrovo nelle parole di Gioia Harjo, poeta muscogee: "L'Oklahoma è l'ultima canzone che canterò", non potrò mai dimenticare di essere nato là dove oggi i miei figli e nipoti e della tribù sono toccati ogni sera dai meravigliosi tramonti delle pianure.
Cosa intendi dicendo che stai ancora “cucinando la tua poesia”?
Questa è una domanda piuttosto impegnativa. La vista di quel che hai davanti dipende da dove ti trovi in piedi. E da chi sei. Come studente, negli anni '70, in Oklahoma, presso il college delle arti liberali, ora Usao in Chickasha, io come molti scrittori nativi della mia generazione abbia trovato difficoltà a trovare poeti che parlassero (ndr: per noi occidentali scrivessero, perché la tradizione cheyenne vuole che le poesie si cantino o si parlino, mai si scrivano) direttamente la loro poesia nella lingua madre negli Stati Uniti. Sono stati i poeti fuori dall'America che hanno affrontato questioni che comprendevano, in parole o in metafora, le risposte al genocidio, all'etnocidio e alla resistenza umana alle atrocità che i nativi hanno vissuto. Le belle traduzioni di Robert Bly e di James Wright, poeti coinvolti in questioni di guerra in nazioni violente come Lorca, Neruda, Machado, Bonnefoy, Celan e tanti altri. Grazie a loro ho sognato di essere nei luoghi di guerra nel freddo sotto la luna andalusa come in piedi in una stazione del treno alla frontiera italiana ascoltando le bombe esplodere nella ex-Jugoslavia. Vengo da una nazione la cui storia non appartiene all'America, ma vive in parallelo e questo in molti casi ci ossessiona. Trovo il senso della storia culturale europeo più simile nelle sue profondità di qualsiasi altro posto in America. Vi sono poeti eccellenti in ogni nazione, attenti e informati. Fa parte del lavoro di noi poeti condividere.
Penso che il modo più appropriato per concludere questa intervista sia con le parole di Antonio Machado: “Viandante, non c'è una strada. La strada si fa mentre si va”.
BIOGRAFIA DI LANCE DAVID HENSON:
Lance Henson è un poeta cheyenne nativo americano. Nato nel 1944 a Washington, è cresciuto a Calumet in Oklahoma con i prozii e i nonni. Esperienze tragiche hanno segnato la sua vita: un padre sconosciuto, una madre abusata fin da piccola dai conquistatori, un fratello suicida, la partecipazione alla guerra in Vietnam. Dopo il conseguimento di un Master in scrittura creativa all'Università di Tula, ha condotto numerosi laboratori di poesia negli Stati Uniti. Ha pubblicato diversi volumi di poesie e le sue opere sono state tradotte in molte lingue. Essere poeta ed essere cheyenne sono in Lance Henson aspetti indivisibili, non solo per nascita, ma soprattutto per scelta. Fa parte dell'American Indian Moviment ed è membro della Dog Soldier Society; inoltre, dal 1988 al 2006, è stato scelto per rappresentare il popolo cheyenne alla Conferenza delle Nazioni Unite sui Popoli Indigeni di tutto il mondo che si tiene a Ginevra. Attualmente vive in Italia ed è considerato uno dei più importanti poeti nativi americani viventi. La sua più recente raccolta è intitolata "I testi del lupo" (Nottetempo 2009).
BIBLIOGRAFIA SINTETICA:
"Le orme del tasso", Soconas Incomindios, 1989
"Un altro canto per l'America. Poesie cheyenne contemporanee", Edizioni dell'arco, 1992
"Tra il buio e la luce. I dialoghi e la terra di un poeta cheyenne", Selene, 1993
"Un moto di improvvisa solitudine", Selene, 1998
"Canto di rivoluzione", Selene, 1998 (2000)
"Traduzioni in un giorno di vento", La Rosa, 2001
"Parole dall'orlo del mondo", con Memchoubi e Apirana Taylor, a cura di Antonella Riem Natale, Forum, 2002
"Sand Creek", Biblioteca dell'immagine, 2005
"Un canto dal vento che si leva. Poesie scelte 1970 - 1991", Edizioni La Collina, 2009
"I testi del lupo", Nottetempo, 2009
sito ufficiale: http://www.hanksville.org/storytellers/henson/
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