Con questo terzo numero della rubrica altri spunti riflessivi, lanciati come messaggi in bottiglia nel grande mare della possibilità e della conoscenza. L'argomento è tra i principali interessi per quanto riguarda la musica tradizionale: la danza, strettamente connessa con la musica. Testimone un amico e persona molto impegnata in campo sociale ma anche ottimo conoscitore della propria tradizione coreutica. Il riferimento è a un festival, CourentaMai, ideato dal gruppo musicale Blu L'azard e coordinato dalla Chambra d'Oc che ha come fine la diffusione della danza tradizionale più sentita nelle Valli di Lanzo, appunto la courenta (in italiano corrente). L'intervista è stata realizzata insieme al regista Andrea Fantino mentre lo accompagnavo per le Valli a raccogliere materiale per il suo film documentario, non per niente titolato successivamente Courenta dentro, realizzato in occasione e su stimolo del festival. In quell'edizione, la seconda, si era sperimentato di chiamare alcune coppie di persone del territorio per mostrare e insegnare la propria variante di questa danza delle Valli di Lanzo a un pubblico esterno.
La danza tradizionale in un contesto culturale specifico è più di una danza. Non è solo un momento ricreativo e di aggregazione. Per le genti delle Valli di Lanzo la courenta è come un richiamo, un'essenza della propria identità, collettiva e personale
Traduzione della registrazione:
Per quanto riguarda le tradizioni sicuramente sono parte di noi. Nel senso che... per esempio per il ballare, il ballare non è una cosa che impari. Da bambino è una cosa naturale, la prima cosa che viene da fare (s'intende per quanto riguarda la società, ndr.) è ballare la courenda, perché vedi gli altri che la ballano, i grandi che la ballano e ti entra nella pelle... io non mi ricordo chi me l'ha insegnata perché penso non me l'abbia insegnata nessuno. Ognuno la impara da solo e insieme alla courenda si impara ciò che è la lingua. Io ho iniziato a parlare il patois (francoprovenzale, ndr.), l'italiano l'ho imparato dopo e con i miei ancora adesso io parlo tutti i giorni nel nostro modo (francoprovenzale, ndr.), non è una cosa fuori dal normale. Ci sono persone (si riferisce al festival CourentaMai, seconda edizione 2106, ndr.) che in qualche modo fanno vedere o cercano di insegnare cioè che è... in questo caso la courenda e tutto quello che ci sta dietro. Anche la forma del pensiero, il modo di vivere che c'è dietro a un ballo, che è un semplice ballo ma che in realtà si porta dietro tutta una serie di esperienze. Mi è piaciuto il fatto che tanta gente che arrivava da fuori ... da fuori vuol dire... per noi uno di Lanzo è già “di fuori” è già un forestiero, comunque diciamo non del posto, ha dimostrato una voglia incredibile di imparare qualcosa e di imparare quello che noi cercavamo di insegnargli, la courenda. Forse abbiamo trovato un po' difficile, proprio perché non essendo professori non è semplice. Lo fai vedere (ballare la courenda, ndr.) ma poi non sai perché lo fai, lo fai e basta. Ma l'interesse, la voglia di imparare è singolare perché vuol dire che c'è comunque qualcosa di buono dentro questi balli se no non ci sarebbe stata tutta questa gente interessata. La nostra courenda, quella di Ceres, è un po' diversa dalle altre solo per quel che è “il girare” (lou girìa). La base è la stessa, le parti sono le stesse però c'è la differenza che c'è un po' tra i dialetti (le varianti del francoprovenzle, ndr.). Io parlo alla maniera di Ceres, mia madre era di Mezzenile e sono anche capace di parlare alla maniera di Mezzenile, che è già un altro modo di parlare. E come c'è questa differenza nel dialetto c'è la differenza anche nel ballo (della courenda, ndr.).
Testimonianza di Marino Poma (1965), Ceres, 2016. Era presente all'intervista la moglie Giusy.
La pelle è un mediatore tra l'organismo e il mondo esterno. Ha funzione di protezione ma anche di comunicazione attraverso la sensibilità. Qualcosa che metaforicamente “entra” nella pelle è qualcosa che si assorbe attraverso il piacere. Qualcosa che una volta “dentro” appartiene a quel determinato corpo, quell'entità sensibile.
Il gioco infantile è sistema conoscitivo fondato sulla curiosità. Si impara con l'ascolto, l'osservazione e la mimesi, l'imitazione, in cui il concetto di rassomiglianza, di analogia, prevede sempre un aspetto di originalità e di creatività. All'interno di una struttura culturale e rituale la danza è vettore di significati in cui l'apprendimento non è solo motorio ma anche linguistico. Come un gioco di richiami. Si tratta di codici comunicativi e sensuali. È qualcosa che attrae, come i colori e il profumo di un fiore in mezzo a un prato. Il prato è il contesto, il profumo e il colore del fiore l'essenza che va colta e assimilata. L'attenzione ricade su ciò che attrae. Quel fiore ha bisogno di essere impollinato per continuare a vivere, così come una tradizione in cui il vettore è l'uomo all'interno di un contesto sociale. Il prato va curato affinché perduri e non si trasformi in selva, caos, disordine e non sia più possibile orientarsi.
La difficoltà di trasmettere una danza tradizionale è lecita e comprensibile in quanto nessuno ha insegnato prima quella danza ma è stata assimilata, appresa per imitazione. Si può invero mostrare, manifestare in tutta la propria bellezza. Un giro di danza è un respiro esistenziale che trascende il quotidiano e per quell'attimo rende immortali. La danza in un contesto tradizionale è regolata da tempi precisi durante il corso dell'anno e specifici spazi coreutici. La scansione di questi tempi e spazi è proiettata nelle formule ritmico armoniche tramandate nella musica che sono specchio della struttura di danza in un contesto cinestetico: un muovere (dal greco kinéo) che ha facoltà di sentire (dal greco aisthetikós).
Ritorna, dal precedente numero della stessa rubrica, il tema della voglia di imparare ma questa volta rovesciato. È il testimone che l'osserva piacevolmente stupito in membri esterni alla propria comunità e cultura. Certo che “qualcosa di buono” sia insito in questi balli poiché, come un fiore profumato, attraggono e conservano all'interno l'essenza di una cultura.
Il concetto di mobilità è intrinseco a quello di cultura viva. Si tratta di un movimento costante, antico, che è più vicino all'idea di risonanza che a quella dello spostarsi.
Il tempo e lo spazio sono in risonanza con chi ha vissuto quei momenti e quei luoghi e con chi continua a farlo nella presenza. E viceversa. Insieme si è cultura e ci si riconosce come società. Ma questi movimenti culturali ed esistenziali creano varianti così come l'apprendimento per imitazione di un bambino. È attraverso la differenza che ci si riconosce. E in questo caleidoscopico mondo culturale ci sono risonanze, richiami tra danze e linguaggio verbale. Si tratta di funzioni, estensioni delle possibilità umane. Se c'è un fine è quello comunicativo, sistemi di comunicazione connessi tra loro che creano echi, vibrano, come un fiore in mezzo a un prato.
Didascalia foto:
Fotografia: Flavio Giacchero.
Jeux/Passages: Around (1993), Valli di Lanzo.
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