Nato nel 1948 ad Harlan, Kentucky, si è laureato in lingua inglese presso la Columbia University.
Il St. Mark’s Poetry Project ha stimolato il suo interesse per la poesia orale e per le arti performative. Ha diretto le letture pubbliche del progetto dal 1977 al 1984.
Figura centrale nella comunità poetica di New York, Holman ha fondato il Bowery Poet Club nel 2002 e ha diretto gli slam poetici del Nuyorican Poets Cafè dal 1988 al 1996.
Nel 2010, con i linguisti Daniel Kaufman e Juliette Blevins, ha fondato l’Endangered Language Alliance di New York, che si occupa di monitorare e affiancare le minoranze linguistiche presenti sul territorio di New York City.
Grazie a questo progetto è stato prodotto un documentario diviso in tre parti incentrato sull’Africa Occidentale e Israele: "On the Road With Bob Holman: A Poet’s Journey Into Global Cultures and Languages,".
Nel 2015 ha diretto il film poetico: Khonsay – Poem of Many Tongues, una video-poesia formato da cinquanta versi, ognuno dei quali viene pronunciato da un parlante di una lingua diversa.
L’impegno nella difesa delle lingue minoritarie continua con la realizzazione di Language Matters with Bob Holman, un documentario trasmesso dalla PBS nel 2015, che parla della rapida estinzione di molte lingue del pianeta e della loro lotta per la sopravvivenza.
Holman ha anche lavorato come direttore artistico per l’organizzazione non-profit Bowery Arts + Science che si occupa di promuovere la tradizione della poesia orale attraverso l’organizzazione di letture pubbliche e la diffusione di materiali multimediali disponibili anche in lingue minoritarie. Ha fondato l’etichetta discografica Mouth Almighty / Mercury e ha prodotto la serie della PBS The United States of Poetry, nonché diverse registrazioni audio del suo lavoro, tra cui The Awesome Whatever (2007).
Già docente alla Columbia University e alla New York University, è autore di numerose raccolte di poesie, tra cui ricordiamo: Picasso in Barcelona (2011), Bob Holman’s The Collect Call of the Wild (1995) e Tear to Open: This This This ... (1979).
Ha coeditato l’opera corale Crossing State Lines: An American Renga (2011, con Carol Muske-Dukes), The United States of Poetry (1996, con Joshua Blum e Mark Pellington), e ALOUD! Voices from the Nuyorican Poets Cafe (1994, con Miguel Algarin). Pubblicato in numerose antologie - Spoken Word Revolution (2003), Bum Rush the Page: A Def Poetry Jam (2001) e Up Late: American Poetry Since 1970 (1988) – Holman ha tradotto (con Sam Liebhaber)
The Book of Sana’a: Poetry of Abd Al-aziz Al-maqalih (2004) e Carved Water (2003) del poeta Er Zhang’.
Premi e le onorificenze ricevuti: Elizabeth Kray Poetry Award della Poets House, Premio Minerva della Biblioteca Pubblica di New York, Poets & Writers / Barnes & Noble Writers Award, Columbus American Book Award, Nuyorican Poets Cafe Legend Award.
Motivazione
Sono circa 6500 le lingue parlate nel mondo e prima che questo secolo finisca, circa la metà saranno scomparse. Bob Holman si è fatto portavoce di questa realtà e con il suo impegno ed entusiasmo ha messo a fuoco e portato all’attenzione di un vasto pubblico l’inquietante conseguenza del predominio linguistico e culturale delle lingue maggioritarie.
Attraverso svariati progetti, che vanno dagli slam poetici nei caffè di New York alla registrazione di lingue orali in via di estinzione in tutto il mondo, Bob Holman ha svolto la sua personale missione: preservare e custodire un patrimonio culturale che si identifica non solo con la tradizione di un popolo, ma anche con l’ambiente, l’ecologia e il suono del luogo in cui esso vive. L’amore per l’oralità e l’impegno come attivista della parola, hanno permeato tutta la sua opera. Secondo il New Yorker: “Bob Holman è stato il promotore postmoderno più attivo nel portare la poesia nei caffè e nei bar dai tempi di Ferlinghetti.”
ANTOLOGIA BOB HOLMAN
Intervista a cura di Silvia Mentini
Silvia Mentini • Bob, come sai il premio Ostana normalmente premia autori ed artisti che si esprimono in una lingua minoritaria, ma quest’anno, in occasione del decimo anno del Premio ha deciso di aggiungere un premio speciale dedicato alla promozione della diversità linguistica nel mondo ed ha deciso di premiare te , che non ti esprimi in una lingua minoritaria, ma anzi, in inglese americano, una delle lingue maggioritarie del mondo. Secondo te, la predominanza delle lingue maggioritarie come può incidere sul patrimonio linguistico del pianeta?
Bob Holman • Ah, sì, capisco, gli USA possono essere un posto terribile in cui vivere. Siamo nell’ombelico della bestia. Io amo molto la mia lingua, come credo ogni persona ami la propria, ma mi disgusta la natura prepotente dell’inglese e delle altre lingue maggioritarie. Quando penso alla mia identità, mi identifico prima di tutto coll’essere un poeta e come poeta so che la lingua è l’essenza dell’essere umano e la poesia è l’essenza della lingua. E senza la lingua, dove sarebbe la poesia? Non ci sarebbe poesia. Per me la lingua è un sinonimo di coscienza e creando una lingua e facendola evolvere, l’essere umano acquisisce coscienza attraverso tale atto. Il modo in cui tale lingua evolve in posti diversi rappresenta la nostra coscienza di quei luoghi. Parli del luogo quando parli la lingua di quel luogo.
SM • New York, la città in cui vivi, conta oltre 800 minoranze linguistiche, come gestisce la città questa enorme varietà linguistica e culturale?
BH • New York ama la varietà, adora il cibo etnico e va pazza per tutto ciò che è autentico.
Forse New York è un’isola felice negli Stati Uniti, qui la Statua della Libertà continua a dirti che per lo meno a New York ci sei arrivato e sei il benvenuto, ma chissà nel resto degli USA...
Con l’Endangered Language Alliance abbiamo fatto questa stima: ci sono circa 800 minoranze linguistiche qui a New York e stiamo parlando solo dell’area del Queens! Negli anni il centro è diventata anche una sorta di polo di ricerca linguistico e si occupa non solo di monitorare le presenze linguistiche sul territorio e di affiancare rifugiati ed immigrati, ma anche di raccogliere informazioni e di creare un archivio di tutte le lingue e dialetti che ancora non sono stati documentati. Insomma, la gente può venire qui e registrare la propria testimonianza orale e fornire indicazioni sulla propria lingua, così da poterla preservare e anche, perché no, conoscerla un po’ meglio.
SM • In un’occasione hai detto una cosa molto interessante e vera: la poesia è un luogo di incontro. Quando giravi Khonsay, era questo che avevi in mente? Un luogo di incontro in cui diverse lingue potessero confluire insieme in un unico messaggio al mondo?
BH • Ogni linea, ogni verso porta con sé una grande storia e per me è stato l’ascoltare quelle storie a creare e a riempire la poesia. E mi ha fatto desiderare di darla al mondo. Nella poesia non c’è molto denaro. Robert Graves ha detto che è difficile trovare i soldi nella poesia, ma è anche difficile trovare la poesia nei soldi. C’è un atto di donazione nella poesia che risale alla tradizione orale della narrazione, che tanto ha fatto per l’arte del linguaggio. Durante le riprese di Khonsay, non tutti coloro che parlavano una lingua minoritaria desideravano essere trasmessi al mondo. Alcune persone ritenevano che la loro lingua fosse soltanto loro e che con loro dovesse restare e io ho capito, onorato e rispettato quest’opinione. Quindi la cosa principale era essere e stare personalmente col poeta, lavorare fianco a fianco col traduttore per assicurarmi che ogni verso diventasse parte della poesia e si collegasse con tutte le altre lingue, in una celebrazione della diversità delle lingue del mondo. Ma soprattutto per me Khonsay è un appello all’azione, per aiutare e rispettare queste lingue e permettere loro di continuare a vivere. Fa’ ciò che puoi per farlo. E questo è ciò che posso fare io. E ciò che posso fare, come poeta, è una poesia. All’inizio, Khonsay era nata come una poesia scritta, ma non era sufficiente, in quanto mi limitavo a trascrivere l’ortografia di ciò che veniva detto e per diverse lingue non esisteva nemmeno una tradizione scritta! E poi ho pensato di farne un audio, ma perché solo l’audio? Perché non vedere, anche? Una lingua, in fondo, è anche la maniera in cui viene parlata. L’intero essere è parte di una lingua e cosa può fare la poesia per attirare l’attenzione sulla lingua, preservandone l’essenza e la vitalità? Ed è così che è nato questo motion poem, questa è l’idea che c’è dietro Khonsay.
SM • Quando è nato il tuo interesse per le lingue minoritarie? E quando hai iniziato a lavorare su questa tematica?
BH • Ancora una volta, è nato grazie alla poesia e forse anche alle mie origini. Mia madre era figlia di un minatore del Kentucky e sposò l’unico ebreo di Harlan, Kentucky. Nella mia infanzia si sono mescolate le storie di montagna degli Appalachi con la tradizione orale ebraica dell’Ucraina. Sento anche fortemente l’influenza di Majakovskij e dei futuristi russi. La mia è sempre stata una poesia performativa, che segue le regole della tradizione orale. Per questo, la prima volta che ho ascoltato l’hip-hop ho capito che si trattava di pura poesia. E non c’è modo di imparare o studiare l’hip-hop, puoi solo andare dove si canta e ascoltarlo. Ma forse è stata la mia esperienza in Africa a far nascere questo interesse per le lingue minoritarie. Di certo l’incontro con Papa Susso, un griot dell’Africa Occidentale, è stato fondamentale per farmi capire cosa significa vivere in una tradizione prettamente orale e cosa significa essere un poeta che si esprime in una lingua in pericolo di estinzione. L’idea che c’era dietro ai miei documentari girati in Africa era quella di promuovere il bilinguisimo e il multilinguismo: non si dovrebbe perdere la propria lingua madre mentre si parla al mondo intero. Insomma, questo interesse per lingue minoritarie è nato anche per tentare di “salvare il pianeta”, per risvegliare la coscienza della gente, perché l’ecologia del pianeta si rispecchia anche nell’ecologia delle nostre coscienze. E se le lingue scompaiono, scompaiono anche i mezzi per poter continuare a preservare il pianeta.
SM • Bob, tu sei un poeta, ma anche un attivista. Quale credi sia il ruolo del poeta in questa società della comunicazione veloce? Credi che le persone abbiano ancora bisogno di poesia, della narrazione orale e di storie?
BH • Ora più che mai. La scrittura ha provocato un cambiamento radicale nelle nostre coscienze e nelle nostre menti. Ci è voluto del tempo prima che la scrittura venisse considerata parte del modo in cui vediamo il mondo. Questa coscienza non è nata da sola, si è evoluta con l’evoluzione dell’uomo, aprendo il passo a uno spazio meraviglioso. Le prime biblioteche erano il posto più rumoroso della città perché tutti leggevano ad alta voce. Nessuno aveva ancora inventato la lettura mentale; ci sono voluti cento, duecento anni perché la gente inventasse la lettura silenziosa. Perché dovresti leggere solo per te stesso? La lettura a voce alta era come andare al cinema. È un modo di vedere le parole e le connessioni che esistono fra di esse, e questa è forse una delle parti più ricche dell’essere umano. E l’era digitale, secondo me, rappresenta una sintesi fra la cultura orale e quella scritta. Negli Stati Uniti, in un sito come quello della Button Poetry ci sono video di poesia performativa con visualizzazioni che non hanno nulla da invidiare a un videoclip pop. Sette milioni di visualizzazioni non sono male per un poeta e anche se la poesia non rappresenta una parte importante dei media, le orecchie delle persone si stanno “stappando” e la gente si ritrova a voler ascoltare delle storie, delle poesie, per distrarsi per un attimo dai problemi del mondo.
SM • Bob, ti sei impegnato a portare la poesia fuori dai soliti circoli letterari, l’hai portata in strada, nei bar, nelle chiese e perfino in TV. Come ci sei riuscito?
BH • Sì, fino agli anni Ottanta ho sempre pensato che la poesia e la televisione fossero nemici naturali. Non facevo che pensare: la gente guarda la TV, ma non viene ad ascoltare le letture poetiche. Perché? Ho sempre pensato che la poesia dovesse far parte della vita quotidiana delle persone, ma non riuscivo a trovare un modo per renderla “popolare”. Poi un produttore è venuto da me è mi ha detto: “Vuoi lavorare con me per portare la poesia in TV?” Subito ho pensato: “Sta scherzando? Lavorare col nemico?” Ma poi ho realizzato che era un’idea fantastica! È così che si porta la gente ad ascoltare poesia: mettendo la poesia in TV. Ed è stato un successo!
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