Su giornali e TV, dall’11 febbraio 2013, tutti accostano papa Ratzinger a Celestino V, ed è naturale, dato che si tratta del più famoso esempio passato di un papa che ha abdicato. Meno naturale – e per certi versi addirittura insolente – è citare a questo proposito i versi danteschi:
Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l'ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.
Nella Commedia, come si vede, non è detto che si tratti di Celestino V, anche se è vero che lo hanno sostenuto, fin dall’inizio, i commentatori, a cominciare dal figlio di Dante, Pietro. Ancora oggi c’è chi lo sostiene, nonostante in questi secoli vi sia stata una schiera di studiosi che ha proposto altri possibili «grandi rifiuti», tra cui quello di Ponzio Pilato.
Il motivo per cui tanti ritengono convincente l’ipotesi Celestino è per via del verbo conobbi. Ma, a parte il fatto che all’epoca non esistevano i telegiornali e quindi era assai improbabile che Dante conoscesse il volto di questo papa morto nel 1296, è facile dimostrare che Dante usa più volte il verbo «conoscere» per personaggi a lui sconosciuti, anzi proprio per significare «il prendere cognizione di cose o persone ignote».(1)
Chi fonda la propria opinione sulle parole di Dante dovrebbe anche tener conto del fatto che Celestino, come peraltro anche Ponzio Pilato, erano figure celebri, mentre Dante dice: fama di loro il mondo esser non lassa. Basandosi su questa frase il Prof. Paolo Baldan ritiene che si tratti del giovane ricco che nel Vangelo si rifiuta di seguire Gesù perché, per farlo, dovrebbe lasciare le sue ricchezze. Ed è davvero un gran rifiuto quello di questo giovane, di cui – aspetto fondamentale – non viene fatto il nome! (2)
Purtroppo, nonostante nei secoli numerosi intellettuali e studiosi di chiara fama abbiano contestato, o almeno messo in dubbio, che nell’ombra di colui / che fece per viltade il gran rifiuto si possa ravvisare la persona di papa Celestino V, oggi tutti, ma proprio tutti, lo danno totalmente per scontato come se fosse Dante stesso ad averlo scritto.
La cosa grave è che chi accosta questi versi danteschi al clamoroso gesto di Joseph Ratzinger non si rende conto che si tratta di un abbinamento piuttosto irriguardoso nei suoi confronti, perché il verso di Dante non lascia dubbi: quel «rifiuto» fu un gesto di viltà.
Poi c’è la collocazione: quest’anima si trova in quella zona antecedente l’Inferno, tra coloro / che visser sanza 'nfamia e sanza lodo, i cosiddetti «ignavi» che l’Inferno non vuole perché non furono abbastanza cattivi. Ma attenzione: non li vuole nemmeno il Paradiso! Sono a Dio spiacenti.
Dopo alcune spiegazioni da parte di Virgilio, Dante li guarda e cosa vede? Per prima cosa un’insegna, una specie di banderuola che gira velocissima
e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch'i' non averei creduto
che morte tanta n'avesse disfatta.
Mai, in nessun altro punto del suo aldilà Dante dirà di aver incontrato così tanta gente, e in nessun altro punto esprimerà altrettanto disprezzo. È la grande maggioranza degli esseri umani, che corrono dietro a una qualche bandiera, incapaci di avere un pensiero proprio, incapaci di essere «vivi» nel senso della consapevole dignità che deve avere la vita umana.
E poi c’è l’orrenda pena:
Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch'eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
da fastidiosi vermi era ricolto. (3)
Non credo ci sia bisogno di parafrasi, perché il testo è chiaro. Altrettanto chiaro mi sembra che, per quanto riguarda Benedetto XVI, era senza dubbio doveroso citare i precedenti storici, ma sarebbe stato meglio, molto meglio, lasciare in pace Dante.
(1) Francesco Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla «Divina Commedia», Sansoni, Firenze 1967, p. 415.
(2) Cfr. Paolo Baldan, Ritorni su Dante, Moretti & Vitali, Bergamo 1991, pp. 21-39.
(3) Per le citazioni dantesche cfr. Inferno III, 34-69.
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