E’ stata ristampata recentemente ( Aliberti editore) l’intervista, pressoché dimenticata, che Eugenio Scalfari fece nel luglio del 1981 ad Enrico Berlinguer (tre anni prima della sua morte).
L’intervista allora fece grande scalpore ma fu presto insabbiata perché concretamente realista rispetto alla deriva che stava trascinando la politica italiana, e con essa il PCI, verso approdi lontani dallo spirito costituente e, in particolare, dagli ideali professati fino a quel momento da un partito che ancora aveva tra i propri militanti i partigiani e quella classe operaia che aveva difeso le fabbriche dagli occupanti tedeschi e accompagnato la nascita della democrazia in Italia.
Berlinguer coniò allora l’allocuzione QUESTIONE MORALE che diede enorme fastidio a chi voleva, all’interno del PCI “modernizzare” la politica sull’esempio della “modernità craxiana”.
L’allora parlamentare Giorgio Napolitano fu tra coloro che osteggiarono le riflessioni di Berlinguer che voleva il permanere del partito lontano dai posti nelle banche, dai consigli di amministrazione, da tutti i gangli economici degli enti pubblici e delle relative società controllate: questo in nome di una diversità proclamata fino ad allora dal PCI!
Berlinguer sentiva che il partito si stava allontanando dalla gente, dalla difesa delle classi deboli, dai problemi quotidiani di una società indifesa di fronte alle prepotenze degli enti pubblici, delle ex nazionalizzate, dei potentati economici: ed in questo contesto stava nascendo l’antipolitica!
Queste riflessioni sembrano oltremodo opportune in questo momento politico che propone un voto che avrà comunque influenze sui nostri piccoli comuni montani.
E’ vero che per il momento la sciagurata legge Calderoli è stata azzerata e quindi i comuni per ora rimangono nelle attuali perimetrazioni territoriali: ma con sempre minori autonomie, a vantaggio delle unioni dei comuni che dovranno dimostrare, pur nelle svantaggiate condizioni di montanità, la loro efficienza.
Mettere insieme comuni con differenti vocazioni di sviluppo (ove si perseguono), di politica urbanistica, di visione strategica nel contesto alpino ed europeo, non sarà facile: ma la via è obbligata da leggi predisposte da chi nulla sa delle problematiche montane e della vita che conducono i montanari.
Non credo che dovremo farci grandi illusioni rispetto al nuovo governo che sarà formato (se sarà formato in modo stabile anziché andare di nuovo al voto come potrebbe essere). La maggior parte di chi ambisce a un posto nelle Regioni o in Parlamento cerca, nel migliore dei casi, un sicuro reddito. Se è bravo farà la sua fondazione e magari si farà anche finanziare un giornale!
La classe politica è sempre più o meno la stessa e non possiamo aspettarci molto da Roma.
L’unico aspetto positivo di queste elezioni, per noi della montagna piemontese, è che le primarie del PD hanno fatto in modo che venissero candidate tre persone che conoscono bene i problemi ad essa relativi e del territorio periferico della regione Piemonte: Enrico Borghi (Presidente Nazionale UNCEM), Mino Taricco (già assessore regionale) e Chiara Ghibaudo (outsider della Valle Stura). Borghi e Taricco saranno sicuramente eletti e la Ghibaudo potrebbe riservare una piacevole sorpresa.
Ma anche se avremo loro in Parlamento (e qualche altro dalle altre regioni..) cosa potranno fare per la montagna nel guazzabuglio romano?
Sempre più imperativo quindi la necessità per la montagna di trovare una propria strada.
In montagna sta tramontando la generazione che era scesa a valle da bambino seguendo i genitori. Una generazione che ancora aveva nella testa la voce della montagna e che quindi quando poteva tornava al paese per aggiustare la casa, piantare le patate, trascorrervi le vacanze e poi a condurvi la vita da pensionato; ma anche per partecipare alla vita amministrativa portando esperienze e competenze diverse (anche se non tutte positive…).
Si sono aggiustate le vecchie case, rimodernandole, abbellendole, anche per i figli! Ora a molti di questi figli la casa nel paese dei propri genitori non interessa più. Meglio i viaggi esotici o il mare caciaro di molte spiagge italiane. Così come si dimenticano i paesi dei genitori.
Chi succederà a questa generazione? Non saranno sufficienti i guru che teorizzano soluzioni impossibili o, perlomeno improbabili. Stante l’urgenza, qui occorre fare, più che teorizzare.
Come ne usciamo noi, gente di montagna? Non certamente con le economie autarchiche del passato ma coniugandone i valori all’interno di nuove modalità di vita.
In compenso si stanno delineando altri scenari, non antitetici: diverse scelte di vita fanno salire in montagna famiglie alla ricerca di modelli lontani da quelli cittadini: alla ricerca della natura, della socialità, di altri ritmi. Persone non necessariamente di origine montanara, spesso laureati e/o in possesso di mestieri nuovi, anche di frontiera…
Saranno questi i nuovi montanari?
In questi anni la montagna, a partire dagli anni infausti della ministra Lanzillotta fino ai provvedimenti di Calderoli, ne ha subito di tutti i colori: ma solo gli amministratori (e neanche tutti) sono stati coscienti di quello che stava capitando.
Se si chiude un ospedale te ne accorgi quando ne avrai bisogno ma non hai fatto nulla perché il fattaccio non avvenisse.
Si è subito in un silenzio colpevole e ora si protesta come se i problemi nascessero oggi. Gli insulsi programmi televisivi di certe reti (subito imitate dalle reti RAI) hanno prodotto i loro effetti!
Ci lamentiamo della classe politica: ma la classe politica riflette chi li ha eletti.
Tornando a Berlinguer, nel rapporto di apertura del XVI Congresso del PCI (marzo 1983) dopo aver ricordato che lo stock complessivo del debito pubblico aveva superato i 360.000 miliardi di lire e che occorreva procedere con politiche di austerità, continuava: “Il secondo elemento di allarmante gravità è costituito dal continuo e accelerato decadimento dello Stato in tutte le sue funzioni e attività. Si estendono, specie nel sud, zone e settori dove imperano l’illegalità, le attività mafiose e camorriste. La vicenda della P2 e altri scandali hanno mostrato a quali livelli sia giunto l’inquinamento e il corrompimento nella vita delle istituzioni e dei partiti”.
Tremendamente attuale!
Forse dovremmo tornare all’intervista, riflettere e cercare un nuovo modello e diverse istituzioni.
Ancora Berlinguer: “Il consumismo individuale esasperato produce solo dissipazione di ricchezza, storture produttive, insoddisfazione, smarrimento, infelicità e, comunque, la situazione economica dei Paesi industrializzati, di fronte all’aggravamento del divario, al loro interno, tra zone arretrate, e di fronte al risveglio e all’avanzata dei popoli dei Paesi ex coloniali e della loro indipendenza, non consentirà più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la civiltà dei consumi, con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinsechi ad essa.”
Tremendamente attuale!
A quei tempi c’era stata la scelta di condurre una forte lotta all’inflazione che si traduceva in un aumento della disoccupazione; ora abbiamo un aumento della disoccupazione (che assume connotati di tragicità) in presenza di inflazione (seppure moderata).
E’ arrivato il momento della crisi irreversibile?
Mangiare (consumare) per lavorare era lo slogan di Berlusconi. Mai successo nella storia del genere umano: si è sempre lavorato per mangiare!
I nodi stanno arrivando al pettine e ristabilire un equilibrio economico-produttivo mondiale non sarà facile!
Occorrerebbe per l’Italia, da parte della classe politica, un livello culturale, deontologico, idealistico, sconosciuto (a parte una piccola percentuale) nella recente storia parlamentare.
Una proposta per cambiare la strada!
Basterebbe una piccola riforma a costo zero (anzi produttrice di risparmio): abbassare a poche migliaia di euro i proventi per i parlamentari (diciamo 5000 “puliti” al mese..) e sparirebbero gli arrivisti e coloro che vogliono andare a Roma per arricchirsi. Daremmo spazio a chi è ancora disposto a battersi per i propri ideali e per il bene comune.
Una riforma che non si farà mai.
Nòvas n.121 Febrier 2013
Berlinguer: lo statista si mette al servizio dello Stato; il politico mette lo Stato al suo servizio.
di Giacomo Lombardo

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