Ogni volta che percorro il valico del Moncenisio mi perdo nella forza della sua natura, nei meandri della sua storia, nell’energia che trasmette. Storia di montagna selvaggia e di grande valico. Quando imbocco la piana di San Nicolao ed affronto la Gran Scala napoleonica non posso fare a meno di ricercare lo sguardo dell’urlo… Ancora oggi è lì. Se lo cercate attentamente salendo dal secondo tornante della Gran Scala l’urlo pietrificato del Gigante del Moncenisio è evidente, immobilizzato per i secoli di fronte al monte Giusalet pietrificato per amore dei tempi nuovi di azzurri laghi alpini…….
Nella notte dei tempi al posto delle onde nel lago del Moncenisio ribolliva la lava… la bocca del cratere gorgogliava spaventosa, tutte le cime erano nere, minacciose. Cenere, zolfo, lava e fumo dappertutto.
Confinato dagli Dei in quel territorio malsano un Gigante trascinava il suo enorme corpo deforme e terrorizzava gli abitanti delle vallate sottostanti, quelle che sarebbero poi diventate la Maurienne e la Valli di Susa. Era uno di quelli che avevano sfidato gli Dei, sgraziato e goffo, un grande viso asimmetrico portava due occhi diversi, uno grande e spalancato, l’altro minuscolo e cieco. Le braccia muscolose arrivavano quasi a terra ed una vistosa gobba mal nascosta dalle pelli che lo ricoprivano lo rendeva ancora più brutto, barcollante su gambe grosse e corte.
La sua pena doveva essere eterna, solo l’amore l’avrebbe liberato da quel luogo, ma l’eventualità era per gli Dei improbabile, mai amore sarebbe entrato in un cuore sì malvagio…
Le fertili terre che lambivano il cratere delle terre alte erano ambiti pascoli per gli abitanti delle combe sottostanti ma, se sorpresi al pascolo dal gigante, era morte certa e sterminio di mandrie.
Fu così che nel corso delle lune le popolazioni furono costrette a patti con il brutale abitante del vulcano. Allora questi per scaldarsi il giaciglio nelle lunghe notti invernali pretese la consegna di una giovane donna a turno per ogni villaggio e solo in tal caso avrebbe concesso libertà di pascolo su tutte le praterie dei versanti fertili della montagna senza più trucidare genti ed animali.
Nacque in quel tempo la maledizione, seppur a caro prezzo, iniziarono periodi di prosperità per gli abitanti delle vallate del Moncenisio, i pascoli coperti da mille fiori e da buona erba rendevano belle le bestie che fornivano buon latte e formaggi e vitelli… ma nella luna d’autunno sul villaggio designato calava la disperazione, per la consegna della ragazza che non sarebbe mai più tornata.
Sotto la spessa coltre di neve del Moncenisio, nella caverna del gigante la ragazza prescelta diventava schiava della sua malvagità per finire barbaramente trucidata prima dello sciogliersi delle nevi e divorata dal suo carnefice.
Nei villaggi questa dannazione portava dolore quindi era più facile dimenticarsene e mai parlarne, tutto avveniva in una aura di mistero e magia, qualche ragazzo innamorato alla scomparsa della bella si era ribellato ma molto spesso rimaneva ucciso dagli stessi compaesani.
Giusaletta nasce a Giaglione, cresce forte e sana nei valloni della Val Clarea, il suo volto porta un sorriso perpetuo ed ha sempre una parola buona per tutti. Pascola tutte le estati le mucche di famiglia fin su quasi a lambire le brulle terre alte e quando seduta sulle rocce guarda la valle non può prevedere il suo atroce destino.
La sera della festa di Lunhasad sulla piazza del Molare il consiglio dei saggi si riunì per designare l’eletta al Martirio e la deputata fu proprio lei. Sarà in gran segreto prelevata da casa, stordita con una bevanda soporifera sarà preparata dalle matrone del villaggio per il sacrificio.
La prima notte di luna nuova la portantina venne abbandonata alle rocce di Nicolao, Giusaletta non si rese conto di nulla e si ritrovò nelle enormi braccia del gigante che senza degnarla di sguardo la sollevò e se la buttò in spalla incamminandosi con andatura zoppa verso il suo antro.
La caverna era enorme, ricoperta qua e la di pelli di selvatici e resti di ossa e sporcizia la rendevano maleodorante e putrida, Giusaletta venne sbattuta per terra ed ancora inconscia cominciò a disperarsi realizzando che i racconti nelle veglie di stalla erano realtà.
Quando il gigante le si avvicinò Giusaletta invece di ritrarsi e fuggire lo fissò dritto negli occhi e l’essere deforme invece di abusarne come abitudine si perse nel profondo dei suoi occhi azzurri, fondi come laghi alpini mai esistiti e non riuscì a far altro che accarezzarne le gote ed i riccioli biondi dolcemente con l’unghia del grande dito.
Il coraggio e la virtù nei profondi occhi azzurri di Giusaletta ferirono il cuore del mostro e trascorsi pochi giorni il Gigante le si avvicinò, la prese con delicatezza e la portò sull’uscio della caverna. Era una splendida giornata autunnale il sole ancora caldo la vide fuggire nell’ombra della montagna che prenderà il suo nome.
Il Gigante la lasciò libera di correre al suo villaggio! Decretando così la propria fine, un urlo terrificante scosse le combe del Moncenisio, il gigante rimase pietrificato nella roccia, inseguita da questo urlo spaventoso Giusaletta fuggì a valle piangendo forte.
Ogni lacrima di Giusaletta toccando terra si frantumò sulle rocce. Ogni frammento di quel pianto formò un lago. Nacquero così i meravigliosi laghi alpini, trasparenti ed azzurri come i suoi occhi: Arpone, San Giorgio, lago Bianco, Giaset, Savine, lago della Vecchia, Perrin e Clair. Le praterie alpine da allora rinverdirono le pendici fino alle cime e lo stesso cratere del vulcano si trasformò nello splendido lago del Monceniso.
Il gigante però rimane lì a monito del buio e dei misteri di tempi lontani. … Ancora oggi è lì. Se lo cercate attentamente salendo dal secondo tornante della Gran Scala l’urlo pietrificato del Gigante del Moncenisio è evidente, immobilizzato per i secoli di fronte al monte Giusalet pietrificato per amore dei tempi nuovi di azzurri laghi alpini…….
Truc de Dzalhoun: 3 agosto 2012
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