Con lo scorso articolo (numero 16) abbiamo introdotto un nuovo punto di vista sul francoprovenzale: le sfumature fonetiche delle sue numerose varietà. Abbiamo quindi ricordato l’apporto del linguista Ascoli, l’evoluzione della vocale -A- tonica latina con i suoi comportamenti “intermedi” e la reazione del francoprovenzale di fronte a lingue di maggior prestigio: nel nostro caso il piemontese.
Vogliamo dunque provare a delineare altri fenomeni fonetici che si sono prodotti nel tempo e hanno contribuito a caratterizzare il codice linguistico che stiamo studiando. Senza ricorrere ad altri esempi, sfruttiamo la serie del verbo “mangiare”: mangé (Villar Focchiardo), mindzé (Laietto), mindzê (Giaglione), mingé (Maddalena, Chianocco,Inverso di Bussoleno, Gravere, Meana di Susa), mingè (Mattie), mingèi (Coazze), mingìër (Ceresole Reale), mendzìe (Novalesa) e mingēŕ (Venaus). Tra i fenomeni che emergono a una prima lettura, troviamo l’evoluzione della vocale atona -A- e il trattamento della consonante pretonica che, peraltro, segue lo stesso percorso dell’italiano “mangiare” (mingé). La vocale atona si trasforma in una -I- o in un’indistinta -E- (e muta) mentre la consonante in un caso diventa affricata palatale sonora (-G- di gioco) e in altri casi affricata alveolare sonora (-DZ- di zenzero). Entriamo quindi in due grandi temi di area francoprovenzale: la tendenza a non mantenere intatte le vocali atone (per esempio dzelenò “gallina” a Venaus, hevetò “civetta” a Novalesa) e la presenza di grandi tendenze consonantiche che pervadono tutta la lingua.
Quali esempi del primo caso possiamo ricorrere nuovamente a forme già viste quali gli esiti di PLORARE plerà (Novalesa), plouŕaŕ (Venaus), piouraar (Ceresole). Vediamo come a Novalesa la -O- atona iniziale diventi indistinta e come lo stesso francese abbia un esito simile con la vocale -EU- di pleurer. In particolar modo, possiamo sostenere che tale fenomeno è situabile intorno all’area alpina in particolare tra i colli del Moncenisio e i colli valdostani.
Per quanto concerne il secondo caso, abbiamo detto che il mutamento di -A- tonica latina per palatalizzazione in altra vocale come -E- -I- è dovuta essenzialmente all’influenza del particolare contesto fonetico all’interno del quale tale vocale si viene a trovare: chévra, tsivra “capra”, dzèl “gallo”, tsèt “gatto”. Se prestiamo dovuta attenzione notiamo come la G- e la C- tendano a passare da occlusive velari a affricate palatali, modifichino pertanto la loro natura portando l’articolazione verso il palato (da qui il fenomeno della palatalizzazione). In questo processo di trasformazione della consonante, la vocale tonica ne viene condizionata e si modifica a sua volta in vocale palatale.
Da qui è facile capire per quale motivo non tutte le -A- toniche latine tendono a modificarsi nel passaggio al francoprovenzale: in effetti vengono a modificarsi solo quelle che per una particolare posizione all’interno della parola, si trovano in prossimità di suoni consonantici palatali. Ritornando agli esiti di PLORARE “piangere”: plerà (Novalesa), plouŕaŕ (Venaus), piouraar (Ceresole), non assistiamo a mutamenti di -A- perché non in contesto palatale. Di contro gli esiti di MANDUCARE “mangiare”, come già riportato all’inizio di quest’articolo vedono una modifica della -A- tonica latina per influsso della consonante palatale (-G- di “gioco” o -DZ- di zenzero). Ecco la spiegazione a livello fonetico del fenomeno descritto proprio dall’Ascoli. Per concludere, il gruppo linguistico francoprovenzale, così come la lingua francese con le varietà di area oitanica, si sono strutturati in modo da creare una profonda distanza dalla comune madre latina. Non c’è chiaramente nessuna intenzionalità in questi processi, ma solo la salvaguardia di una coerenza interna alla quale nessuna lingua può rinunciare.
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