Giunti alla sedicesima tappa di questo nostro cammino attraverso i cangianti paesaggi del francoprovenzale, è arrivato il momento di entrare nel vivo della lingua, tentando di penetrarla nei suoi fenomeni più riconoscibili e in quelli meno facili da capire.
Se con i primi articoli abbiamo ricordato il fondamentale apporto del linguista Graziadio Isaia Ascoli, oggi vogliamo provare a ripartire dai suoi studi per comprendere se le varietà francoprovenzali che parliamo nella quotidianità rispecchiano pienamente i traguardi scientifici da lui raggiunti.
Si è detto che l’Ascoli aveva riconosciuto questo nuovo gruppo linguistico tramite lo sviluppo della -A- tonica (accentata) latina. Tale vocale si è mantenuta intatta in contesto occitano, si è sempre trasformata in ambito francese (le parlate del nord della Francia tra le quali il francese che tutti conosciamo) e ha avuto un comportamento intermedio nel francoprovenzale.
Ma vediamo qualche esempio:
la parola latina MANDUCARE “mangiare” ci ha restituito l’occitano manjar, il francese manger e il francoprovenzale mingé, mingì;
allo stesso modo la parola latina PLORARE “piangere” si è evoluta nell’occitano plorar, nel francese pleurer e nel francoprovenzale plourà, plurà.
In questi due casi notiamo come la vocale -A- latina abbia avuto modi differenti di comportarsi. Ciò è dovuto alla presenza di alcuni suoni consonantici a lei prossimi che l’hanno fatta mutare in -I-, in -E- o in qualcosa di simile. Ecco che cosa si intende per “comportamento intermedio”.
Qualcuno potrebbe obiettare la povertà di due soli esempi per garantire la stabilità di una tesi così importante. In realtà l’elenco di parole ascrivibili all’una o all’altra categoria sarebbe veramente molto lungo.
Ma proviamo ad entrare nel merito di questa evoluzione fonetica vedendo gli esiti di MANDUCARE nelle nostre varietà francoprovenzali: mangé (Villar Focchiardo), mindzé (Laietto), mindzê (Giaglione), mingé (Maddalena, Chianocco, Inverso di Bussoleno, Gravere, Meana di Susa), mingè (Mattie), mingèi (Coazze), mingìër (Ceresole Reale), mendzìe (Novalesa) e mingēŕ (Venaus) e gli esiti di PLORARE: plerà (Novalesa), plouŕaŕ (Venaus), piouraar (Ceresole). Da una veloce lettura dei singoli lemmi si evince la bontà della regola ascoliana. Si nota tuttavia come il numero degli esiti di “piangere” sia assai inferiore rispetto a quelli di “mangiare”. Non si tratta di un’assenza della parola all’interno delle altre varietà, cosa impossibile per un verbo così importante, e nemmeno di una mancata elicitazione, bensì di un esito che nel francoprovenzale risulta alquanto strano.
Novalesa, Venaus e Ceresole (e dunque le valli di Lanzo, Orco e Soana) conservano sempre il doppio sviluppo della -A- tonica latina nella desinenza dell’infinito in -ARE. Le varietà della media Valle di Susa, da Giaglione in giù, e della Val Sangone non seguono tale percorso: l’unica evoluzione possibile per la desinenza -ARE latina è sempre -E-, aperta o chiusa che sia. Da qui avremo plourê (Giaglione), plourè (Mattie), plouré (Meana di Susa), piouré (Villar Focchiardo, Giaveno, Coazze, Laietto, Chianocco). In quest’ultimo caso non sfuggirà ai più attenti una perfetta aderenza al modello piemontese (pioré) senza il mantenimento del nesso consonantico latino -PL- e con l’unico esito possibile di -ARE latina in -É.
Bisogna a questo punto capire il motivo di una simile “anomalia”. La risposta è più semplice di quanto possa apparire. Il contesto geografico, sociale ed economico delle comunità succitate, molto vicino alla città di Torino e legato alla sua sfera di influenza, ha fatto sì che il torinese determinasse nei parlanti francoprovenzali l’impossibilità di riconoscere ancora la doppia uscita dei verbi della prima coniugazione, da qui pourté, tsanté, plouré e non pourtà, tsantà e plourà, come atteso dalla teoria ascoliana.
Con questo non si intende dire che talune varietà siano “meno” francoprovenzali di altre o che Ascoli, a suo tempo, si fosse sbagliato, bensì è interessante sottolineare come le lingue interagiscano tra di loro e si influenzino nella testa dei parlanti e nell’uso che loro stessi ne fanno. Attraverso due semplici parole latine siamo riusciti a introdurre alcuni temi di fondamentale importanza per la linguistica: l’evoluzione delle parole e dei suoni da una lingua precedente a una successiva, la contaminazione delle lingue a opera dei locutori e dei loro contesti di riferimento e, ancora, la grande ricchezza fonetica e lessicale che appartiene a ciascuna comunità parlante.
Da qui vuole prendere avvio il nostro excursus tra le sfumature, così come compare nel titolo di questo articolo, del nostro francoprovenzale.
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