Nato a Bastia nel 1945, residente a Biguglia. Ghjacumu Thiers ha insegnato lettere classiche a Nizza, Ajaccio e Bastia prima di entrare all’Università della Corsica nel 1983, dove ha occupato per lungo tempo la cattedra di lingua e cultura corsa come professore ordinario. Ha un dottorato in linguistica che lo ha abilitato a dirigere ricerche. Ha inoltre ricoperto varie funzioni amministrative ed educative, tra le quali la direzione dei Servizi d’informazione e di orientamento (SUIO) presso l’Università della Corsica e del Corso di Comunicazione applicato allo sviluppo delle risorse regionali.
Thiers è una figura di grande spicco nella nascita e nello sviluppo del Movimento culturale, linguistico e letterario sviluppatosi dopo gli anni 70, ossia del “Riacquistu”(Riappropriazione), in cui si è distinto come poeta, drammaturgo, giornalista e romanziere.
Compositore ha scritto numerosi testi per gruppi musicali, collaborando così a una produzione discografica importante anche fuori dalla Corsica.
Con lo pseudonimo di Antonio Corsarcata, in collaborazione con Antoni Arca (Sardegna) e Jordi Buch Oliver (Catalogna) ha scritto un libro a tre mani che è in via di pubblicazione. È autore di una ventina di drammi e commedie.
Tante le sue opere in lingua corsa, poi tradotte anche in altre lingue: S’ella gira, L’abbracciu, Furmiculime, Grossu Minutu, Tutti in Ponte Novu, U medicu stranieru, E Voce di Penelope, Labirintu, A Funtana d’Altea, A barca di a Madonna, Cantu nustrale, I misgi.
Thiers è dunque figura imprescindibile nel mondo della sociolinguistica e della modernizzazione della lingua corsa, nella Università, nella società e nel territorio.
Senza di lui, la cultura e la lingua corsa non avrebbero avuto dei capolavori letterari che le danno lustro e notorietà anche internazionale.
È soprattutto questo Thiers poeta e scrittore che celebriamo e premiamo quest’anno ad Ostana, consci di premiare, con lui, tutti i Corsi che si battono per la identità e la sovranità della Corsica.
ANTOLOGIA JACQUESTHIERS
IL CANTO D’ALTEA
(Noëlle TOMASI traduttrice, JPC Infograffia, Bastia, 1994)
Questa grande e bella piazza è stata costruita a più riprese. Per favore, abbia un po’ di pietà, non guardi questi monumenti: per noi sono una Vergogna. Mi riferisco al significato, non al loro valore artistico perché io non m’intendo affatto d’arte. Credo fossimo l’unico posto al mondo a non aver ancora monumenti. Questa poteva essere la nostra fortuna, ma quando sono arrivati, la loro prima preoccupazione è stata di erigerne due. Se non l’avessero fatto, non si sarebbero stabiliti qui: li avremmo buttati in mare e non sarebbero potuti ritornare, mai più.
Questa madre tragica e dall’aria compassata, si dice che rappresenti la nostra patria mentre spinge il proprio figlio nelle fauci del mare e della guerra. Chi avrebbe potuto immaginare di suggellare nella pietra e nel bronzo lezione più spaventosa? Le farò ascoltare le nostre ninne nanne, e potrà allora giudicare da sola se una madre avrebbe mai potuto compiere un simile gesto. Le nostre madri sono come tutte le altre. Avvicinatevi ai loro figli e vedrete!
La prego, non guardi un simile scempio. In realtà è ancora uno dei tanti inganni che abbiamo dovuto subire. All’origine si trattava certamente di guerra, ma il significato era diverso. Non erano né le stesse patrie, né le stesse aspirazioni. Forse il sacrificio dei figlio poteva un tempo avere un senso, per lui come per sua madre. Ma non mi soffermerò più a lungo su questo argomento, rischierei di annoiarla. Lei deve soltanto sapere che, in origine, i simboli non erano gli stessi e che si tratta dell’ennesima puttanata della storia. Dopo, ci hanno ingarbugliato tutto, ed è anche possibile che le madri abbiano fatto dono dei loro figli senza neanche sapere a chi. La colpa è della memoria labile degli uomini? Non solo! È anche del sole. È più facile mischiare tutto con questa luce che erode i contorni reali delle cose, delle idee e dei desideri. Oggi, con tutto questo sole, i simboli si confondono.
Questa piazza, vorrei potergliela mostrare d’inverno, quando i platani tendono al cielo le loro braccia scarne come per rifiutare questi sacrifici inumani. Ma d’inverno, noi esistiamo per voi? Eppure è soltanto allora che si capisce tutto! Questo colossale imperatore romano blocca lo sguardo nel lato sud della piazza. Rappresenta tutta la nostra follia. Sarebbe più giusto dire «schizofrenia», ma certe parole non le posso pronunciare, forse per superstizione o solo perché sono difficili da articolare per i nostri organi fonatori. Il perché, non lo so. E non voglio neanche saperlo. So soltanto che è cosi: quella parola no, non posso proprio pronunciarla...
Lei potrà leggere tutta la nostra follia nell’atteggiamento dell’imperatore, se è attenta ai segni. Mi ritorna in mente un romanzo dove, ad un certo punto, l’autore si lamenta degli abitanti di una luminosa città marinara che hanno costruito le loro case di spalle al mare, cosicché lo sguardo è costretto ad insinuarsi dietro gli edifici per vedere lo splendore del sole che gioca sullo specchio delle acque. L’autore rimprovera alla popolazione di non aver tralasciato la città e il suo entroterra per prendere maggiormente in considerazione il mare, il viaggio, il mondo esterno. Ma al contrario questo fu una grande dimostrazione di saggezza. Perché noi, a furia di guardarlo, il mare, ci ha annientati. Da sempre e per sempre, con l’ostinazione delle cose della Natura, incantevoli quanto ingannevoli.
L’imperatore guarda il mare con aria pensosa, pietrificato nei suoi sogni di conquista, di viaggi e di potere. Ecco quello che hanno voluto significare gli uomini che hanno commissionato la statua, quelli che l’hanno eretta, e quelli che la venerano dopo quella data. Sta lì, magnifico e fiero, con la sua corona d’alloro ricoperta di escrementi di piccione.
Non si è nemmeno accorto che l’aquila accovacciata ai suoi piedi ha il becco rotto - col tempo mi sono ficcato in testa che fu opera mia, dato che ogni giorno venivamo in banda per provocare i figli di papà della Piazza San Niculà -. Approfittando della baruffa, mi avvicino, un sasso pronto sull’elastico della mia fionda. È teso al massimo. Sparo in pieno nel becco! Nella confusione generale, in mezzo a grida, insulti e scazzottate, nessuno ha sentito niente. Quando siamo risaliti a Funtana Nova, mi sentivo nel cuore una felicità immensa, mista alla paura di aver commesso qualcosa di blasfemo.
Fra le due statue si trova il chiosco per la musica. L’ispirazione è la stessa visto che è sempre alla guerra che si educava. È già da tanto che concerti qui non se ne fanno più. Le ultime fanfare militari si sono spente ormai da parecchio, esattamente dalla mia infanzia. Meno male, era ora. Hanno intontito la nostra gente per più di un secolo. Nascevamo già gallonati, partivamo storditi, tornavamo storpi, contenti e pensionati.
Questa trinità orientata verso il largo racchiude tutta la nostra educazione, vezzi compresi. Come vede, Parigi e Roma noi le abbiamo in casa. Due capitali ma nessun capo. Ci sforziamo di riverirle entrambe mentre si dilaniano - ma questo, per favore, non lo scriva, potrebbero farmene rimprovero -.
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