Questo ex monaco divenne poeta e scrittore dalla tenera età.
Riconosciuto anche oltreoceano per essere una delle più interessanti tra le giovani voci del Tibet, prolifico scrittore, è ora anche regista.
Chenreb Gyamtso utilizza oggi lo pseudonimo “Nodreng” (nome tibetano di “pianoforte”)
e afferma: “Quando ho iniziato a scrivere poesie ho avuto un’emozione così forte, una sensazione simile a quella di suonare un pianoforte,
e così ho scelto questo nome”.
Nodreng è nato nel 1986 a Rebgong,
una città monastero della Cina nella provincia
del Qinghai, famosa per i suoi corsi di studio
in lingua tibetana e per l’arte tipicamente tibetana della pittura Tangka.
All’età di 11 anni, Nodreng si fece monaco.
Sotto la severa disciplina del monastero,
ha studiato la logica buddista e la letteratura tibetana tradizionale.
A 19 anni ha pubblicato il suo primo libro, una raccolta di poesie dal titolo Il flusso dell’Arcobaleno.
Quando aveva 21 anni ha lasciato il monastero. “Volevo imparare cose nuove, ho voluto provare qualcosa che non avevo provato prima”. Inizialmente si è dedicato a lungo allo studio
della letteratura moderna tibetana e cinese presso la Lanzhou Northwestern University.
Dopo aver lavorato diversi anni come scrittore freelance, ha vinto una borsa di studio per studiare Cinema presso l’Università di Comunicazione della Cina a Pechino.
Da poco tornato a Xining, capitale della provincia del Qinghai, ha aperto un piccolo studio cinematografico dove spera di realizzare documentari e lungometraggi a favore della preservazione della cultura tibetana.
Un altro tema caro a Nodreng è la diffusione di una maggior consapevolezza di protezione dell’ambiente sull’altopiano in cui oggi risiede.
A sette anni dalla pubblicazione del suo primo libro di poesia, Nodreng ha pubblicato oggi più di 60 articoli in riviste di lingua tibetana. I suoi racconti e le sue poesie sono stati spesso pubblicati sulla più grande rivista di letteratura tibetana Pioggia d’estate.
L’ultima pubblicazione, un romanzo di vita dal titolo Nessuna destinazione, racconta una moderna storia d’amore ambientata nella campagna tibetana, cui è seguito un libro di saggi incentrati sulla moderna cultura tibetana.
Nel 2009, ha fondato www.tbnewyouth.com, una piattaforma web che accetta fiction e non-fiction da scrittori tibetani. E’ un sito importante, molto seguito dai tibetani, sia all’interno della Cina che fuori, nella diaspora. Tutto ciò che viene pubblicato sul sito, articoli e recensioni, devono essere in lingua tibetana. “Uno dei migliori modi per salvaguardare una lingua - Nodreng dice - è quello di assicurarsi che ci siano molte piattaforme sul web dove sia possibile scrivere e leggere in tibetano. Tutti i tibetani devono poter utilizzare la lingua madre tibetana. Questo è il modo migliore per proteggere la nostra lingua“.
Proposto per il Premio Ostana dal Professor Tsering Wangdu Shakya, nato nel 1959, storico e ampiamente citato esperto di letteratura tibetana e moderna del Tibet e di rapporti con la Cina.
Attualmente è Ricercatore canadese sulla religione e la società contemporanea in Asia presso l’Istituto di ricerca asiatica della University of British Columbia, dove insegna nel Master di Arte Asiatica e Pacifica (MAAPPS), lavorando anche per Radio Free Asia.
Ecco la sua opinione:
“Nodreng scrive davvero molto bene e la sua lingua tibetana è di uno standard molto alto. Ho letto i suoi scritti, seguito il suo post del blog e l’ho trovato molto interessante. Sento che lui è uno dei pochi giovani scrittori tibetani che descrive in maniera riflessiva e molto personale le vicende della società tibetana attuale. Ciò è abbastanza raro, poichè la maggior parte dei giovani scrittori sono imitativi o scrivono in uno stile troppo fiorito, utilizzando una prosa troppo turgida o sono eccessivamente rivolti a decantare il meraviglioso Tibet”.
Il raggio di sole nella finestra dell'appartamento del monaco
Da questo lato della collina il Monastero Taklong, situato ai piedi di una montagna a forma di elefante, dà la sensazione di un posto spettacolare. Anche ad un rapido sguardo appare vividamente nella costruzione ben progettata la sala principale monastica, tra i templi di Manjushri, Buddha Shakyamuni, Ji Tsongkapa: il maestoso ornamento d’oro li sovrasta con i selvatici cervo maschio e cerva femmina.
Come la luna circondata dalle stelle, così centinaia di appartamenti di monaci punteggiano lo spazio intorno a quei templi e alla sala monastica.
Uno stupa solitario appare accanto al sentiero circolare, coperto di polvere. L’appartamento del monaco è proprio vicino al santuario di Tsongkapa, circondato da muri di terra che vanno nelle quattro direzioni, colorati con il tipico lavaggio a calce bianca nella parte frontale. La porta è un insieme di pezzi di legno lavorati dal tempo, trattati con inchiostro nero da entrambe le parti. Anche il cortile interno di questo appartamento è infuso dalla polvere, tre rilievi di diversi colori sventolano in aria con leggerezza sopra le finestre, aggiungendo eleganza ai bordi del tetto dell’appartamento.
In realtà, è difficile capire se i quadranti della finestra a riquadri sono copiati da quelli di Pechino. Una tenda piccola rossa è appesa al centro di questa finestra composta da finestrelle più alte che larghe.
Quasi tutti i riquadri sono stati coperti di carta bianca, uno o due fori dell’ultima riga sono bucati, tra i riquadri appaiono degli occhiali quadrati leggermente piccoli che scrutano fuori. Si ha la sensazione che sia l’appartamento di monaco.
In un pomeriggio d’estate, mentre il sole cocente fa soffrire il caldo torrido ai monaci di tutte le età nel monastero di Taklong, una ciotola rossa e una bianca sono fissate dall’interno a terra. Contengono briciole di pangrattato, sparso un po’ dappertutto, si tratta di un vecchio gioco dei bambini della zona di Amdo per catturare gli uccelli. A poca distanza, verso il basso, la luce del sole penetra nella finestra. Sul cui bordo si appoggia il pezzo di legno ove stanno le vaschette in acciaio, rovesce, collegate ad un filo sottile.
Alla fine del filo, silenziosamente in attesa degli uccelli, sta il piccolo monaco di undici anni Junba Tsakjun, che continua a guardare attraverso i riquadri della finestra, strofinando una mano sul muco nasale verso l’alto contro la punta del proprio naso. L’altra manina sporca tiene saldamente il filo, collegato alla propria veste.
Esiste una spiccata differenza tra il modo in cui un bambino cattura gli uccelli e un vecchio uomo pesca un pesce col gancio, dal momento che esiste una certa distanza tra i loro obiettivi. L’uno lo fa per puro spirito di gioco, mentre il secondo per una necessità concreta.
Ora tre uccelli si avvicinano alla ciotola in acciaio, continuano a saltare di qua e di là, beccando le briciole.
Junba mette a fuoco il suo obiettivo attraverso un potente telescopio, in attesa di una possibilità, costringendo l’occhio, che guarda attraverso il foro, a non fare neanche un battito di ciglia.
Su entrambi i lati della ciotola senza sosta mettono il becco, insistendo sotto la vasca d’acciaio e insistono sulle briciole. Un uccello si inserisce sotto la tazza, l’altro, ancora in piedi, sta con la testa dentro e il resto fuori. Anche se la cattura è parzialmente completa, Junba, in uno slancio di avidità, si sente come se avesse già preso due piccioni con una pallottola.
Ma l’incanto del momento, dopo pochi secondi, viene rotto da un rumore di tonfo che all’improvviso segnala l’arrivo inaspettato di Kunchok nel cortile, il quale trasporta qualcosa, nascondendolo sotto la sua veste da monaco. Tutti gli uccelli volano fino ai tetti.
“Aawa AAMA’!”, Junba sbotta, “Somma Kunchok” e si precipita fuori, “Kunchok testa bianca e nera, se non avessi fatto un tale ingresso improvviso, avrei certamente preso due uccelli!”
“Non ti torturare per due uccelli!”.
“Migliaia in numero, come i monaci!”.
“Non lo sapevo. Non arrabbiarti, per favore”.
“Somma Kunchok testa bianca e nera, perché non dovrei arrabbiarmi?”
“Quando sarà di ritorno tuo zio?”
“Si dice che ci vorranno ancora due giorni”.
“Per quale motivo è andato?”
“Per i libri di storia pubblicati dal monastero”.
“Oh!”
“Che cosa c’è sotto la tua veste?”
“Andiamo via, via. Vieni dentro”. Dicendo questo, Somma Kunchok testa bianca e nera entra dentro l’appartamento correndo, seguito dal piccolo Junba.
Kunchok è il suo vero nome, ma “Somma testa bianca e nera” è il soprannome. Tutti lo chiamano così a causa della calvizie rotonda in cima alla sua testa. Nel sentirsi chiamare così, non si arrabbia più, da molto tempo si è abituato a sentirlo.
Junba lo segue dietro di lui e la sua sensazione recente di rabbia è svanita, come portata via da un vento che soffia per un momento. Ora è preso dall’emozione di sapere ciò che potrebbe nascondere sotto la veste Somma Kunchok.
“Aaro, da dove hai portato questo violino?”
“L’ho preso in prestito da Tse Khargyal”.
“Siete voi due buoni amici?”
“Sì”.
“Sai come suonarlo?”
“Io so solo due canzoni, “La gru bianca” e “Il cielo ampio sulla fronte”.”
“Come le sai?”
“Tse Khargyal me le ha insegnate”
“Così suonane una, presto!”
Somma Kunchok si alza velocemente e suona la canzone come prendendola dalle cime dei monti orientali con l’archetto del violino.
Junba resta letteralmente affascinato nella sua totalità.
“Somma Kunchok!”, Junba sbotta, “ciò che fai è impressionante! Puoi insegnarmi?”
Continuando le sue canzoni una dopo l’altra, Somma Kunchok testa bianca e nera annuisce e sorride. I raggi del sole penetrano attraverso i quadranti della finestra e si irradiano sul bordo di un tavolo quadrato a fianco al letto.
Improvvisamente il pensiero di catturare gli uccelli si insinua nella mente di Junba.
“Se suoni il violino qui, qualcuno potrebbero sentire!” Junba dà una pacca sulla spalla di Kunchok, “Prima cerchiamo di catturare gli uccelli, poi potremo suonare il violino di sera, sulle colline Taklong”
Kunchok approva la proposta di Junba prontamente. Sussurra, mentre seppellisce il suo violino sotto una coperta, “In questi giorni il comitato di gestione del Monastero Taklong sta avendo un incontro, ma se vengono a sapere queste cose non sarà un bene.”
Junba, guardando dalla finestra, dice: “Tiene abbastanza, tiene abbastanza!” agitandosi con il corpo dimostrando di sperare che la cosa accada. Contemporaneamente la ciotola di acciaio rivestito cade a terra con un tintinnio.
Junba e Somma Kunchok corrono uno dopo l’altro nel cortile.
“Gli uccelli sono stati catturati!” Junba grida e comincia a saltare qui e là vicino alla ciotola.
Ha già un piano, preparato in anticipo da lungo tempo.
Nei giorni scorsi ha portato in camera sua una ciotola di porcellana rotta piena di colori, giallo, verde, blu e rosso e ha iniziato a dipingere gli uccelli che cattura.
Generalmente, il programma giornaliero di Junba consiste in quasi la stessa cosa ogni giorno: subito dopo l’assemblea del mattino si legge i volumi, prende l’acqua, porta via la cenere e frequenta gli insegnamenti. Ma dopo i mesi di preparazione per le lunghe dialettiche, sono dati ai monaci tre giorni pieni per vacanza. Questo periodo di tempo è una grande opportunità per Junba: queste vacanze coincidono con l’uscita dello zio dal Monastero per stampare i libri di storia. Come si usa dire: ‘In assenza del gatto, il ratto riceve l’illuminazione’. Junba ha tutto il tempo libero in questi tre giorni, un’opportunità unica da ottenere in un anno.
Si sistema fuori per fare prove di pittura, al termine mette nella ciotola gli esserini con un vetro sottile e spigoloso a coprirli, lasciando un piccolo spazio vuoto per la respirazione e li porta dentro la stanza. Gli piace guardare con pietà lo stato degli uccelli, che, ovviamente spaventati, sbattono su e giù le battute veloci delle ali e sulle pance si vede il battito dei loro cuori.
Somma Kunchok mormorò: “Junba, aspetta. Mi sono ricordato una melodia”.
E tirando fuori il violino, nascosto sotto una coperta, mette a punto una poesia che declama con il suono del violino.
“Il dolce suono della mia voce
Anche se ho le ali sul mio corpo
Non ho nessuna libertà di volare alto”.
Questa volta il fascio di luce del sole che entra dalla finestra a riquadri colpisce sulla fronte Junba.
Il piccolo monaco tira su il muco nasale verso l’interno e pensa silenzioso per un po’.
Poi dice: “Rimettiamo questi uccelli in libertà. È stato così misericordioso pensarci!”.
“Capisco. Come un vecchio, hai detto in una parola che, se commetti cose peccaminose, vai contro i principi buddisti”, dice Somma Kunchok.
“Non dire cose senza senso! Non stiamo promettendo che smetteremo di cantare e di suonare la musica durante la depurazione. Non stai commettendo un peccato anche tu portando tali strumenti mondani nel nostro convento?“
Somma Kunchok testa bianca e nera non proferisce parola, se non un po’ di movimento della bocca.
Come la lama del raggio di sole sulla finestra è sempre più tesa, così è il suono delle api che ronzano nel cortile. Dopo aver rimesso gli uccelli in libertà, un senso di rilassamento si restaura nelle loro menti.
Così si dirigono verso le colline Taklong, nascondendo il violino sotto la veste.
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