Mehmet Altun è un poeta contemporaneo bilingue Turco/Kurdo, nato nel 1977 a Kars, Turchia.
Ha studiato economia per alcuni anni poi si è laureato in Archeologia e Storia dell’Arte, con specializzazione in Preistoria, all’Università di Istanbul, dove ha anche conseguito un master in Storia Antica. Fra il 2008 e il 2009 ha lavorato come ricercatore presso l’Università “La Sapienza” di Roma Facolta di Scienze Umanistiche, Lettere e Filosofia, Dipartimenti di Scienze Storiche Archeologiche e Antropogiche Dell’Antichità. Attualmente è dottorando in studi mesopotamici al Dipartimento di Storia Antica dell’Istituto delle Scienze Sociali dell’Università di Istanbul.
Le poesie, gli articoli, le critiche e le interviste di Altun sono state pubblicati su diverse riviste letterarie, fra cui Üç Nokta, Varlık, Öteki/Siz, Şiirden, Yasak Meyve, Radikal Kitap, Akşam Kitap, BirGün Kitap e su diversi giornali: il Radikal, il BirGün, l’Evrensel, il Sabah… Nel 2004 gli è stata conferita una menzione speciale al concorso poetico Yaşar Nabi Nayır e ha pubblicato il suo primo libro di poesie, Rüyamda Hayat Vardı.
Nel 2008 sono uscite altre due raccolte poetiche, Su Zılgıtları e Yukarı Deniz e nel 2011 Lapis Azulis, scritto in turco e kurdo. Presto usciranno altri due suoi libri: il primo si intitola Tarih ve Hikaye / History and Fabula – Myths and Legends in Historical Thought from Antiquity to The Modern Age, ed è un lavoro di traduzione dall’inglese al turco che verrà pubblicata a luglio 2013, mentre il secondo è un saggio accademico che tratta l’origine dello stato, il cui titolo è Yukarı Mezopotamya’da Ortaya Çıkan Devlet’İn Temelleri ve İnşâsı – Origin of The State in Upper Mesopotamia.
Altun ha lavorato come giornalista e archeologo. Attualmente è redattore presso una casa editrice e scrive critiche letterarie per il giornale Akşam e articoli di politica e cultura per il BirGün.
ERETERNITÀ
Ho nuotato in due fiumi
Due fontane, zampillanti come due occhi
Due lingue mi stringono, due fazzoletti ricamati, due alberi da frutta...
Ecco perché sono nato in Kurdo e perché amo l’universo in Turco
Mia madre, per questa ragione
È restata un solitario chicco di caffè
Un tempio la cui porta non conosce lucchetto
Nessun povero è stato cacciato, a nessun agnello è mancato il latte
Ora
Quando la stagione si apre alla primavera, si dice che l’inverno è guerra
Si dice che l’inverno è morto
Lo saprai dalla foresta bruciata
Lo saprai, che la primavera è la casa del fungo e della mora
Che prima che il grano avvizzisca sarai appagata dai regali della terra
E rincorrendo una pernice...
Trota, carpa e...
Sarai appagata
Dal profumo dei fiori selvatici, dal tè di un vicino
Quando il guscio scivola via e la spiga di grano si erge, l’ora è ereternità rispetto al denaro
Si dice;
– Riconoscerai l’inverno, l’autunno è la sua levatrice per questa ragione
Quando la trebbiatrice sazia la casa
Mia madre, dico, è il Kurdo per questa ragione o
il Kurdo mia madre...
Se il pianto è il fratello del riso
Ogni vita ha una stagione, ogni idioma un giardino
La mia lingua intaglia l’amore come un falegname, la mia amante una bella scrittura
Non sei la terra che mi nutre, sei la terra con cui faccio l’amore
Dico la mia amante, la mia amante per questa ragione
Quando sudo immobile nelle tue notti, come un cittadino qualunque
Che bada ad una casa, o accetta un indirizzo
La mia amante, dico, è il Turco per questa ragione o
Il Turco la donna che amo
Ecco perché io dico i due volti della mia identità
Io porto due fotografie in me, il doppio delle storie...
Mi hanno condotto verso due fiumi
Ho scelto due pianure, due bacini racchiusi...
Due profumi di oceano, due onde mi hanno allevato
Ho tenuto due mani
Con una sono cresciuto, con l’altra mi sono moltiplicato
Se ancora vivrò ogni stagione due volte
Una sarà per mia madre e l’altra per la mia amante
Quando moltiplico una vita per due
È per l’amore e la nascita, lo so
Il mio Kurdo è la mia nascita, il mio Turco è il mio amore, dico.
(IL) VENTO
I
Io, (Il) Vento!
Bussando ansioso alle porte chiuse
Ondeggiando sulle vele, sibilando fra i rami, arrivo
Io, (Il) Vento!
Terrorizzando i tuoi mulini, arrivo
Uno scopo per la tua luce, una maturità per la tua lotta, arrivo
Io arrivo dal Nord
Dalle trappole in cui eri caduto
Per portare dolcezza all’essenza di un frutto non ancora maturo
Arrivo per diventare la voce di una formica nell’oscurità, il desiderio del fuoco nella luce
Un vortice in un’onda, uno stridio in una canzone, il gelo nell’inverno, dici
Ma Io, Io domino in eterno su di un luogo proibito
II
Io, (Il) Vento!
Conosco l’umidore del verde, delle campagne verdi fino al cielo
La leggenda della pietra mediterranea, e il freddo del fuoco di Roma
Io, (Il) Vento!
Nella pioggia penetrante, mentre osservo un’amante bagnata
Conosco la solitudine che penetra le lacrime degli occhi e dell’amore
Io arrivo dall’Ovest
Conosco i castelli dove migliaia di semi di lotta si sono nutriti
Il Rinascimento del delitto e castigo, la Riforma della fede
Dalle mura e le verità della mente, è da dove provengo
Dalla tragedia di una corona bagnata dalle lacrime di Nerone
Le arene, la ferocia dei leoni
la donna della rivoluzione, Io conosco
La gioventù a Parigi, la storia a Roma, la lotta ad Istanbul, dici
Ma Io, Io provengo in eterno dall’amore che con furia distrugge un’era
III
Io, (Il) Vento!
Conosco tutte le direzioni del mondo
Oltre le nuvole, la pioggia, il mare, Io conosco
Io, (Il) Vento!
Io arrivo dal Sud
Nell’intimo della consolazione trovi te stesso
Vengo avanti fra i seni di una vergine
Attraverso il suo sudore, violandola
Dal giardino oscuro di un antico tempio, arrivo
Una tempesta sul mare, una bufera di neve, un temporale nella polvere, dici
Ma Io, Io provengo in eterno dall’amore che sgorga da se stesso.
IV
Io, (Il) Vento!
Il freddo sul terrazzo diventa il mio corpo
Durante il sonno del sole, non è la notte che io attraverso
Io, (Il) Vento!
Ho visto i cammini delle acque, pesci di mille colori
Il mio viaggio mi ha condotto sino alle radici della fede
Io vengo dall’Est
Dal cuore della terra che onoravi
Dal settimo cielo, dal tetto di fango di Babele, Io arrivo
Il flauto di Tammuz conosco, lo zoccolo della giovane capra al pascolo
La tristezza di una madre senza latte
Il ventre di un agnello ancora affamato, Io conosco
E so che il primo dio era un pastore
E pure che se ne stava sul cratere di un vulcano del Mare Superiore
Un’imprecazione sulla montagna, una voce alla finestra, la peonia in primavera, dici
Ma Io, Io provengo in eterno dal luogo in cui mille fedi diventano una
LAPISLAZZULI
Abbiamo trascorso stagioni senza domande, dolori puri
Attraverso i tempi abbiamo sperimentato confessioni di morte e negazione
Abbiamo attraversato ingiusti combattimenti senza legge, ma
Non abbiamo dimenticato di proteggere la vita nel nostro cuore
Così siamo crollati insonni, in lotte fradice d’acqua
Se la soluzione è mettersi in cammino senza calpestare una ferita aperta
Se essere invidiosi dei nostri dolori e curare le nostre sofferenze è la soluzione
La condizione è il tempo, è essenziale, è necessario sapere
Che quando l’inferno si chiude su di noi, un paradiso
Arriverà con le sembianze di una delle identità di dio
Dalle storie più tristi, crolla e si risolleva la vita
Benché sia nostro obiettivo lasciare la malattia nell’oscurità
O fuggire dal pus che viene pulito man mano che fuoriesce
Questa non deve essere la nostra fatale, insopportabile ferita
Stare nel girotondo o esserne fuori, questo è il punto
Ora siamo nei pozzi dove il desiderio ha sconfitto l’io
Non possiamo migrare per purificare noi stessi dalle parole violente
Alla saggezza e non agli eroi abbiamo sacrificato le nostre vite
Solo così vediamo la vita e non possiamo rinunciare ad imparare
Se diciamo che non siamo risorti dalle nostre ceneri, è una menzogna
Così come la nostra storia incontra la virtù
Noi non possiamo vestire l’azzurro lampo con nuvole di piuma
Non possiamo sorridere alla pioggia cresciuta nella furia
Man mano che il tempo si trasforma, che la vita lascia a malincuore il corpo
Noi non possiamo chiedere pane e rose per restare
Guardando ciò che di proibito è in noi, come in un innocente corridoio
Abbiamo fretta di diventare una ragazza ancora bambina baciata ad ogni angolo
E il suo respiro è il Vento di Nord-Ovest, la sua bellezza, la sua passione una bianca colomba
È la nudità di una gazzella nelle ore spasimanti della notte
La luce si accende così brutalmente, con un’indelicatezza inaspettata
Un’offerta non richiesta
Non possiamo sporcare il nostro talento di macchie scure
Noi, proprio noi non possiamo terrorizzare i nostri stessi angeli
Se mai strapperemo dalle reti il nostro povero cuore
Lo getteremo via come un’ambra, mentre allatteremo una pietra blu
Come bardi fatti tacere in caliginose cupole
Dovremmo, ostinati contro il Settimo Cielo, unire le nostre voci interiori
Lasciamo che i corpi diventino cenere
E il fuoco soli di brace
Una vita muta in mille santi
Lasciamo che le montagne sorgano, che ogni cosa diventi neve
Questo non sarà abbastanza
Lasciamo che ci sia incanto
Lasciamo che qui ci siano preghiere o la teca di un santo
La lealtà è per il Signore
Lasciamo che il Signore sia la voce di questa terra
Oppure no
Lasciamo che Lui sappia, e che nel profondo ascolti
Lasciamo che la tristezza dell’acqua si rifletta nel mondo
E il macellaio, il macellaio che porta un coltello nella vita
Lasciamo che venga perdonato con compassione
Rimanete in silenzio, per favore non è tempo per i rimproveri
Eppure grazie a Dio
Non è dato sapere
Perché ancora non è stato sentito
Perché ancora non è stato visto
Però no, non c’è nessun servitore, il fato è muto laggiù
Oh Newala Kesaba1
Questa vita, questo mondo è per te
Lasciamo che questa lingua sia cenere per il dolore
È vero che per quanto gli ordini siano indecifrabili
Per quanto le colline siano grigie e le acque torbide
Questa storia è tristezza
Ogni giorno, ogni cosa è sotto il sole
Le colline della tirannia non possono venir coperte
I loro corpi silenziosi piangono, con la loro sommessa tristezza, di continuo...
Per coprire il sole con un sipario
L’inferno è deciso a non chiedere il permesso a nessuno
Ci siamo aggrappati al giglio velenoso
Abbiamo sentito l’odore del suo fuoco, del suo color magenta
Abbiamo lasciato cadere un garofano in ogni valle
Ci siamo preparati per tutte le stagioni
Per l’inverno rosso come sangue
Per l’estate bianca come neve siamo caduti
Questa era la nostra libertà
Questa la nostra sola risorsa
Perché noi amavamo la nostra acqua
1 Newala Kesaba è una fossa comune nella regione kurda di Siirt in Turchia. Il fiume veniva utilizzato dalle forze di sicurezza turche per sbarazzarsi dei corpi dei civili e militanti kurdi uccisi durante la guerra. Si stima che lì giacciano circa 3000 corpi.
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