Signor Direttore,
Avendo seguito fin dall'inizio e in tutte le sue fasi il lavoro della Commissione incaricata della definizione di una grafia unificata ad uso delle nostre parlate provenzali alpine, e conoscendo pertanto i problemi via via prospettati dall'esigenza di trovare una adeguata soluzione grafica alle diverse articolazioni, vorrei aggiungere alcune precisazioni alla Proposta pubblicata sul numero 44 di «Coumboscuro», relativamente alle obiezioni sollevate nel Commento in calce alla medesima. Questo, per evitare alcuni equivoci che mi pare possano nascere dalle riserve ivi avanzate a proposito della sibilante e di ou preceduto da vocale.
L'adozione di s per la fricativa sorda e di z per la sonora corrispondente - secondo un uso già affermato altrove - risponde, nel sistema grafico proposto, ad una precisa necessità. Infatti, esiste per entrambe le articolazioni, quando si trovino tra vocali di cui la prima sia tonica, una pronuncia «semplice» e una pronuncia intensa o lunga (indicata col raddoppiamento del segno: v. la Proposta cit.); inoltre le due articolazioni (sorda e sonora) possono trovarsi anche in posizione non intervocalica.
In queste condizioni -e a parte qualsiasi criterio di uniformità, che tuttavia ha il suo peso, con le scelte fatte per gli altri segni consonantici (v. t, tt; d, dd; ecc.) -la soluzione adottata consente di rendere graficamente, e in maniera semplice, la differenza di pronuncia (sorda e sonora) che si ha, per esempio:
a) tra sìou «sego (grasso)», sinc «cinque», sors «specie» e zìou «tasso (pianta)», zinc «zinco», Zors «Giorgio», per quanto riguarda la posizione iniziale;
b) tra cousot «zucchino», reisâ «segare», raso «razza» e couzot «esserino», reizâ «metter radici», razo «rasente», per la sibilante semplice in posizione intervocalica
c) tra dolso «baccello», pënsâ «pensare», tërso «treccia» e melze «larice», rounzo «rovo», torze «torcere», per la posizione post-consonantica (la grafia piemontese attuale ricorre in questo caso alla stessa soluzione, con la quale distingue, per esempio, onse «oncie» da onze «ungere»;
d) tra pouso «mammella» e pousso «(egli) spinge, spingi!», e tra mouze «mungere» e douzze «dodici», per il caso di articolazione semplice (sorda e sonora) e lunga (sorda e sonora).
Tali differenze fonetiche (di pronuncia) sono spesso legate, come ho cercato di mostrare con esempi idonei (là dove mi sono venuti in mente), a casi di opposizione fonematica (es.: sìou-zìou; reisâ-reizâ; pouso-pousso, ecc). Cosa che non si può ignorare se non si vuol compromettere la comprensibilità stessa del testo dialettale.
Ora, l'uso di ss o ç per la sorda e di s per la sonora, come si propone nel Commento, non può risolvere tutti i casi prospettati e in particolare quelli della sibilante iniziale (v. sinc-zinc) e di s e z «semplici» e «doppie» (v. Pouso-pousso; mouze-douzze), poiché qui si dovrebbe allora, in via ipotetica, scrivere: ssinc-sinc, pousso-?, mouse-?.
In altre, parole, la scelta operata nel Commento per la parlata della Val Grana può essere buona per questa parlata, ma non in grado di soddisfare anche alle esigenze dei patois delle altre Valli, o perlomeno di alcune, cosa che invece si voleva ottenere e che si ottiene effettivamente adottando s (ss) e z (zz). Del resto, nel sistema esposto nella Proposta questi segni sono coerentemente usati anche nei digrammi ts e dz, corrispondenti alle articolazioni affricate sorda e sonora (= z it. di «azione » e, rispettivamente, di « zebra i) che diversamente restano «scoperte». Anche l'«armonia d'insieme del sistema» e, aggiungo, l'applicazione pratica del sistema stesso, traggono certamente più beneficio, a mio parere, dall'uso proposto che non dall'adozione (v. «Coumboscuro», ecc.) di quattro segni diversi (c, ç, s, ss) per la sibilante sorda e un segno (s) per la sonora che è ambiguo, in quanto a seconda della posizione può avere anche valore di sorda. Ciò che peraltro contrasta con i criteri proposti dalla Commissione e seguiti senza riserve in sede di riunione, secondo i quali non devono esserci, in linea di massima, più segni per rappresentare un solo suono. Ora, la Commissione, nata proprio per porre fine al proliferare delle più diverse grafie, ha risolto mi sembra abbastanza felicemente la cosa, sia in generale sia nel caso particolare in esame, semplificando il sistema grafico - senza per questo rinunciare alla precisione delle notazioni fonetiche - e mettendolo alla portata di tutti i patoisants, i quali non possono certo rifarsi a criteri etimologici. Tanto più che quelli sinora in uso nella trascrizione delle nostre parlate sono spessissimo privi di fondamento (gli esempi si contano a decine) e si ricollegano comunque ad una tradizione in genere oltremontana, dove il lessico e la fonetica divergono qualche volta profondamente dai nostri, come ha dimostrato la stessa impossibilità di assumere pari pari la grafia mistraliana.
Analoghe considerazioni si applicano al caso di ou (u it.) preceduto da vocale. La scelta di ou anziché di u (alla mistraliana) anche in questa posizione è motivata, oltreché dal criterio accennato di coerenza e semplicità grafica, dalla necessità di differenziare, per esempio, e + u (es.: nèut «notte», quèut «cotto») da e + ou (es.: lèoure «lepre», péoure «pepe») (1); o ancora, voc. tonica + ou (es.: paoure «povero») da voc. atona + ou (es.: paouras «poveraccio»): scrivendo invece pàure, non posso più scrivere pàuras, dove l'accento tonico cade sull'ultima a, senza che il lettore sia indotto a leggere allo stesso modo (î) sàuten «(essi) saltano», dove l'accento tonico cade effettivamente sulla vocale accentata; o viceversa.
La «bruttura grafica» dei nessi eou, aou, ecc. non è poi così brutta: si tratta solo di abituarsi a una sequenza sinora poco diffusa, per quanto usata, per il patois della Val Germanasca almeno, da vecchia data (v., per esempio, T. PONS, Voci e canzoni della piccola patria, Torre Pellice 1930) e abituale in Francia (v. août "agosto", Raoul, caoutchouc "gomma"). D'altra parte, il nesso ou + altra vocale, per il quale non vi sono contestazioni, è "esteticamente" non molto dissimile dal precedente (es.: couërso "corsa", eicouèlo "scodella", souâtre "corda", di contro a eisuâ "asciugare", puëlio "pulce", ecc.).
Il problema comunque non è di " collimare " con i mistraliani «almeno nell'uso grafico», «visto che non possiamo ancora collimare (...) nel lessico». L'uso grafico deve rispettare l'uso parlato, che è quello reale, per salvaguardarlo; e le caratteristiche fonetiche dell'uso parlato sono obiettivamente diverse da quelle oltremontane, quanto e forse più di quelle lessicali. Né, personalmente, mi sento di variarle artificialmente (che significa rinunciarvi) per adeguarle a quelle: sono convinto che l'«unità del mondo d'Oc» ha fondamenti e strumenti più saldi di quelli postulati da una tale unità grafica, che non è realizzabile.
Segnalo, concludendo, che al punto 1 del Commento, I capoverso, la s di brasso, ecc. è erroneamente definita sonora evidentemente per una svista; lo stesso, all'inizio del secondo capoverso. Chiedo scusa per questa precisazione, che ho creduto di dover fare a vantaggio dei lettori. Da questi, sarebbe opportuno che giungessero ora altri commenti e suggerimenti, atti a perfezionare e integrare eventualmente lo schema illustrato nella Proposta, sulla base di dati che fossero sfuggiti alla Commissione, nella quale purtroppo non tutte le parlate erano rappresentate. La pubblicazione di brani dialettali delle diverse Valli nella nuova (parzialmente) grafia costituirà certamente uno stimolo a queste iniziative.

(1) Noto, di passata, a proposito dei due primi esempi, che l'accento potrebbe invece bastare a distinguere e + u da eu (= eu fr.), nel caso che il suono (eu) si abbia solo in presenza dell'acc. tonico: ciò permetterebbe di adottare quest'ultimo digramma al posto di oe (con o ed e unite), che si ha qualche difficoltà ad ottenere sia dalle comuni macchine da scrivere sia dalle tipografie.