È la notte, e si apre il mondo segreto nascosto nei nostri cuori: è la notte e bussa l’infinito. L’intrepido uomo si tuffa “nell’onda luminsa di azzurro”, e nel tuffarsi sente finalmente quanto ne è lontano. Ma nella distanza vi è presenza: è “l’antica patria perduta” che gli canta una ninnananna, perché nel suo sonno possa nascere da lui, proprio come Eva dal sonno magico di Adamo, una vita nuova.
Siobhan Nash-Marshall
Dolce notte estiva. La testa abbandonata sull’aratro
l’anima sacra del contadino riposa sull’aia.
Nuota il grande silenzio tra le stelle divenute un mare.
L’infinito con diecimila occhi ammiccanti mi chiama.
Cantano di lontano i grilli. Nelle acque del lago
questa notte si celebrano le nozze segrete delle naiadi.
La brezza agitando il salice sulla sponda del ruscello
risveglia dei canti su accordi sconosciuti.
Nel profumo del serpillo, disteso in cima a un covone
io lascio che ogni raggio tocchi il mi cuore,
e m’inebrio del vino della grande botte dell’infinito
dove un passo sconosciuto schiaccia le stelle cadenti.
È squisito per il mio spirito tuffarsi nell’onda luminosa di azzurro,
naufragare – se è necessarrio – nei fuochi celesti;
conoscere nuove stelle, l’antica patria perduta,
da dove la mia anima caduta piange ancora la nostalgia del cielo.
È dolce per me sollevarmi sulle ali del silenzio,
ascoltare soltanto il respiro imperturbabile dello spazio,
finché i miei occhi si chiudano in un sonno magico,
e sotto le mie palpebre rimanga l’infinito con le sue stelle.
Così, così si addormenta tutta la gente del villaggio;
il pastore sul suo carro, sotto la trapunta che stilla luce,
la sposa in cima a un covone, scoperto dallo zefiro il seno
dove la Via Lattea svuota il suo latte brocca dopo brocca.
E così, avendo dormito un giorno sotto lo sfavillio del cielo,
i miei genitori contadini mi concepirono con tenerezza,
mi concepirono fissando lassù i loro occhi buoni
sulla più grande stella, sulla fiamma più splendente.
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