Lo sposalizio
Attraversato il bordo del cortile,
passarono nella casa della sposa
gli invitati a far baldoria
con l’armonica sino al mattino.
Dietro le porte dell’ospite
rivestite di feltro,
tacquero dall’una alle sette
i frammenti del chiacchierio.
Ma all’alba, in pieno sonno,
– solo dormire e dormire –
cantò di nuovo l’armonica
congedandosi dallo sposalizio.
E di nuovo il suonatore
diffuse col suo baján lo sciabordio
d’un batter di mani, un brillio di collane,
e il chiasso e lo strepito della festa.
E ancora, ancora, ancora
il parlottio delle častuški
direttamente irruppe dal festino
sul letto dei dormienti.
E una, bianca come neve,
nel chiasso, negli stridi, nello strepito,
di nuovo riprese a fluttuare
come una pavona, ancheggiando,
invitando con il capo
e con la mano destra,
in quel ballabile sul lastrico,
pavona, pavona, pavona.
A un tratto la foga e il chiasso giocoso,
il trepestio del ballo in tondo,
sprofondarono nel baratro,
sparirono come l’acqua.
Si svegliava rumoroso il cortile.
Un’eco di faccende
si mescolava ai discorsi
e agli scrosci di risa.
Nel cielo infinito, lassù,
in un turbine di macchie azzurrognole,
a stormo fuggivano i colombi
staccandosi dalle colombaie.
Come se, scuotendosi nel sonno,
li avessero mandati all’inseguimento
sulle tracce dello sposalizio
con un augurio di lunghi anni.
Anche la vita è un istante soltanto,
soltanto un dissolversi
di noi stessi in tutti gli altri,
come offertici in dono.
Solo uno sposalizio che dal basso
irrompe dentro le finestre,
solo una canzone, solo un sogno,
solo un colombo azzurrognolo.
Autunno
Ho lasciato disperdersi i miei cari,
tutti i miei sono da tanto chissà dove,
e nel cuore e nella natura, tutto
è pieno della solitudine di sempre.
Ed eccomi qui con te in questo capanno,
nel bosco senza nessuno e deserto.
Come nella canzone, i viottoli e i sentieri
già quasi li cancella l’erba.
Ora noi soli guardiamo
rattristati i muri di tronchi.
Non prometteremmo di assaltare ostacoli,
noi periremo a viso aperto.
Ci sediamo all’una e ci alziamo alle tre,
io con un libro, tu con un ricamo,
e all’alba non ci accorgiamo
che abbiamo cessato di baciarci.
Più sfrenate e più sfarzose ancora
stormite, scrollatevi, foglie,
e con l’odierna angoscia fate
che trabocchi l’amaro calice di ieri.
Attaccamento, trasporto, fascino!
Disperdiamoci nello stormire di settembre!
Immergiti tutta nel fruscio dell’autunno!
Vieni meno o esci di senno!
Tu l’abito lasci andare, così
come il bosco lascia le foglie,
quando cadi nell’abbraccio
con la vestaglia dal fiocco di seta.
Tu sei il bene d’un passo funesto,
quando vivere dà più nausea d’un male.
Ma la radice della bellezza è l’ardire,
e questo l’un verso l’altra ci attrae.
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