Silvia è una donna forte. Energica e socievole, altruista e generosa Silvia è accogliente e abita nell'incantevole borgata Molar del Lupo, alla destra orografica della valle. E' un luogo molto particolare, per la bellezza naturale, la ricchezza di storia e storie della tradizione orale e per il piacevole suono del suo paesaggio, trovandosi lontano dalla strada provinciale. Non è un luogo di passaggio del traffico domenicale. Molar del Lupo è la località di un'antica festa di maggio, Caranta Mai, dalle origini mitologiche e leggendarie che raccontano del tempo in cui i mesi dell'anno avevano una propria personificazione e comunicavano tra loro. L'etimologia potrebbe conservare traccia di arcaiche festività storiche, le calende di maggio. La regione di Molar del Lupo, con la frazione Toglie e altre borgate limitrofe è storicamente connessa per vie culturali e geografiche con la regione di Richiaglio, paese dal quale proviene Silvia. Richiaglio è un'altra di quelle località che sanno di mito e i nativi hanno conservato alcune varianti interessanti e singolari della lingua francoprovenzale. Si dice che quando si è sposata con Costantino lei fosse considerata la più bella ragazza di Richiaglio e lui il più bel ragazzo di Molar del Lupo. Tre giorni di festa, tre giorni di canti e musica che ancora molti ricordano. La musica l'aveva portata una storica coppia di suonatori tradizionali di Richiaglio: Gnasi (Ignazio) detto lingera al clarinetto e Gep (Giuseppe) alla fisarmonica. La sua casa è sempre aperta a tutti, un luogo di incontro e scambio dove non manca mai un bicchiere di vino o un caffè. La sua casa è il centro di ritrovo della borgata. Silvia è inseparabile dai suoi animali: il gatto, le papere, i conigli e le sue amate galline. Silvia è pratica, concreta, vive di ciò che alleva e coltiva, proviene da un mondo antico che le ha insegnato molto e che ora è praticamente scomparso. Ma lei c'è, e di questo vecchio mondo qualcosa ci racconta.
Traduzione della registrazione:
La storia di Piero del Marlè [borgata di Richiaglio]. Dicono che era andato a suonare l'ave Maria. A metà della strada per la Lunella [un monte] c'è dell'acqua e la chiamano l'acqua del Pasùn [località], era molto buona ma poco digeribile. C'era una cappella, dicono, ma io non l'ho mai vista. I miei mi raccontavano che quello lì si chiamava Piero e stava al Marlè ed era andato là a suonare l'ave Maria al Pasùn. Raccontano che ha sentito una voce che dice: «Uh che freddo» . Ma lo raccontavano a noi bambini, se lo inventavano. E poi Piero dice: «Vieni qua a scaldarti» e l'ha chiamata [quella voce] là al Marlé. Ha acceso il fuoco e ha sempre messo legna e la voce diceva: «Metti, metti legna quando non ce n'è più metto te». Quella era una bestia che faceva paura, che [lui] aveva invitato ad andare a scaldarsi. Ma me lo diceva mia zia, zia Neta [Antonietta]. Una volta le dicevo: «Zia Neta raccontami una storia». E allora si inventava qualcosa. E dopo [la bestia] gli ha sempre detto: «Metti, metti legna quando non ce n'è più metto te». Poi [Piero] ha messo un po' di legna, è andato su nel solaio, si è sdraiato sotto un mucchio di fieno e la bestia è andata su e ha sempre tirato via del fieno, poi diceva: «Piero ti ho preso!». E poi è suonata l'ave Maria a Bertesseno [un paese vicino] è venuto giorno e la bestia l'ha dovuto lasciare e Piero è rimasto vivo, lì al Marlè. Io avevo paura perché eravamo bambini ci raccontavano tutte quelle storie lì.
Masche anche dicevano che c'erano ma non sarà mica vero. A Maddalene [frazione vicino] ci credono ancora adesso che ci sono le masche. Mio cognato ci ha sempre creduto, Miglio. Ma una volta credo che facessero più la fisica che le masche.
Ma io non ho mai visto niente, ho proprio da dire la verità, non ho mai visto niente ma qualcuno dice che vedevano delle cose. Ma la paura è anche fatta di niente.
Qui, Ignazio, dicono che era andato a una festa … Si era fatto paura da solo perché aveva il pastrano e la cintura che batteva dietro. Era notte non si è più girato indietro a guardare, la cintura batteva dietro e quando è arrivato ha poi capito che era la cinghia del paltò che batteva dietro e allora si è spaventato proprio per niente.
Ma una volta sapevano che la gente aveva paura e facevano anche la fisica... Perché anche Nino [Domenico, altro personaggio di Richiaglio] quando tornava giù dal Col San Giovanni, magari sarà stato anche un poco brillo... Era notte e ha visto un chiaro venire giù verso lui. E poi dice che si è fermato nella strada e quando è scomparsa quella luce lì ha visto un cagnaccio alto come lui davanti. E dopo un momento è sparito anche quel cane. E' il prete che gli ha fatto la fisica.
Erano i preti che la facevano... Così, per spaventare un po' la gente che non credeva tanto e allora... Ma alle masche non ci ho mai creduto proprio, ma alla fisica sì perché la facevano davvero.
I miei hanno sempre raccontato quella lì [quella storia] che era morto uno che non credeva proprio e in chiesa non era mai andato. E dopo, quando è morto, nessuno voleva stare a guardarlo. Il figlio era a casa da soldato [in licenza] e dice: «Ci sto io questa sera, io non ho mica paura». E lì i preti volevano far vedere che non era di Chiesa. E allora dice che passata mezzanotte ha visto entrare un cagnaccio dentro, dove c'era suo padre morto, e dice che ha preso la cassa da morto con i denti e la tirava. E lui aveva il fucile e gli ha sparato e alla mattina il prete non ha potuto fare la sepoltura perché aveva la gamba ferita. Si è trasformato in un cagnaccio grosso.
La fisica la facevano davvero, una volta. Io mi ricordo sempre che a Val della Torre, ma questa me l'hanno raccontata proprio a me, c'erano due sorelle ed erano proprio vivaci, due ragazze che ne combinavano di tutto, e alla fine il prete ha fatto loro la fisica. Avevano una tràpa [antico mezzo per trasportare a spalle carichi, in genere fieno o legna] sopra [le spalle] e hanno visto il diavolo che mostrava la lingua e una gli ha detto: «Lecca, lecca che se ci fosse mio padre Giovanni ti farebbe leccare». Tanto che avevano paura! Non avevano neanche avuto paura del diavolo! E gli dicevano: «Lecca, lecca che se ci fosse mio padre Giovanni ti farebbe leccare». E dicono proprio che a loro avevano fatto vedere il diavolo che leccava e loro non avevano neanche avuto paura. Ma quelle le ho conosciute anch'io, erano tremende quelle due sorelle.
Testimonianza di: Silvia Albrì (1942), Molar del lupo, borgata di Toglie frazione di Viù 27/11/2020
Quanti suoni, quali paesaggi sonori sentiamo nell'ascoltare una storia?
Le vie dei suoni in questo numero ci portano in luoghi misteriosi, tanto meravigliosi quanto oscuri e tenebrosi. Sentieri che attraversano il mondo magico di questa cultura. Un luogo immaginario e potente, in queste Valli, quello della magia in cui i trasbordi nel reale, la zona liminale tra racconto, mito, immaginazione e realtà fisica si fanno poco definiti. Non si tratta di una zona d'ombra ma nemmeno di un luogo preciso e circoscritto. E' convivenza, simbiosi, il mondo magico appartiene a questa cultura.
Che suono ha la paura? Può essere un tintinnio di una cintura, un suono acuto e percussivo sul corpo, può essere il suono di una voce e il messaggio che porta, può essere il suono, o meglio i suoni, di una storia.
Che potere ha la paura? O meglio che potere ha chi utilizza la paura come mezzo? Ogni cultura si confronta necessariamente con questi temi ed escogita strategie, per non naufragare nella paura. La paura la si insegna, si insegna a riconoscerla e a gestirla. La paura, qua si dice, è fatta di niente. Eppure esiste e ha degli effetti. Quanta paura c'è nella nostra contemporaneità? Di cosa è fatta, chi la utilizza e per quali scopi? Domande necessarie. L'indagine nella tradizione orale di queste culture, popolari, può suggerire soluzioni, indicare nuovi panorami esistenziali, politici e sociali. Prospettive che favoriscono alternative per vivere nel tempo presente. Ci si reinventa continuamente, appoggiati a un sapere antico.
Masca e fisica, due termini, due concetti molto presenti e conosciuti nelle Valli di Lanzo, due contenitori carichi di significati. Le masche, o mascre, come le chiama in modo significativo Silvia, sono figure del mondo magico, eco che arriva direttamente da culture molto antiche che hanno lasciato, come questo, segni e messaggi dal loro mondo. Segni e messaggi ricevuti e interpretati nel tempo in modi differenti. Il termine masca è connesso con l'ampio concetto di maschera, il cui significato è legato a sua volta al mistero della morte, a dimensioni altre così come può essere riferito ad altre possibilità esistenziali. Incerta e discussa l'etimologia del termine. Una possibile origine potrebbe derivare dal significato di nero, macchiato di nerofumo, fuliggine da cui l'italiano mascara e appunto maschera, nella sua accezione primordiale di pittura corporale, dipingersi il volto con cenere. Un probabile senso originario quindi di volto-maschera annerito di fuliggine. Richiami di antichi spiriti notturni, esseri soprannaturali poi relegati a “semplici” e per lo più negative figure femminili, le streghe. Se Silvia non crede nell'esistenza delle mascre non ha dubbio sull'efficacia della fisica. Per fisica, dal greco physis, natura, s'intende una sorta di potere soprannaturale, di controllo delle forze della natura, comprendendo capacità metamorfiche-magiche. Un potere usato per spaventare, controllare, dominare chi non si conforma, chi pensa e crede altro.
E' con un gesto anarcoide e rivoluzionario che due ragazze, giovani donne, si prendono gioco della grande paura, il diavolo, attraverso una risata potente e liberatoria veicolata dalla musicalità di una filastrocca, come sorta di formula magica apotropaica.
Come un segno, una traccia dell'antica figura masca-donna-divinità che con il suo potere sconfigge e annulla l'opera dell'uomo malvagio, colui che usa la paura per il dominio sugli altri. Colui che si perde alla deriva nel vano tentativo di piegare per i propri scopi le forze della natura.
La nascita, la morte, il sonno, la veglia, l'oscuro, la luce del giorno. La figura femminile, relegata nel tempo al concetto negativo di strega, che in una storia, dichiaratamente reale, ritorna per quel che è: un mistero potente che della vita fa l'essenza e il male tenebroso non teme ma di questo si fa beffa con un canto.
Didascalia della foto:
Fotografia: Flavio Giacchero.
E-dico-la-foresta (2015)
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