Gabriele è un artista, un grande artista. Gabriele è innanzi tutto scultore, con una formazione accademica. Non è possibile scindere la sua opera dalla sua persona. La sua è una ricerca costante, una riflessione sull'uomo, sulla cultura, sul tempo, sulla natura. La sua opera racconta il rapporto atavico uomo e natura, un rapporto che si fa conflitto ma che è anche una fusione, un incontro in cui le parti si confondono e avviene qualcos'altro, una metamorfosi. Il suo panorama è cosmopolita ma lo è anche il paesaggio boscoso di un luogo delle Valli di Lanzo di cui è originario e ha una casa. Un paesaggio quest'ultimo del quale è profondamente legato, ne è immerso, gli appartiene, si appartengono. Io abito nel versante opposto della valle, le nostre case si vedono quasi di fronte. Il bosco è come se fosse lo stesso, tagliato solo in fondo dall'alveo del torrente e segnato da differenti sfumature di colore dovute dalla forma della valle e dal relativo effetto della luce. Gabriele è un caro amico che stimo e condivido con lui molti interessi e molte riflessioni, oltre che lo sguardo su una valle. L'intervista e la registrazione non le ho realizzate come mio solito ma sono state fatte a distanza. Eravamo in pieno blocco totale dovuto alla pandemia in corso. Nessuno, quasi, poteva muoversi da casa. Gli ho chiesto se sarebbe stato disponibile per un'intervista a distanza e non convenzionale, registrando la propria voce e il proprio pensiero con qualsiasi mezzo disponibile, come il telefono. Ha accettato. Quello che è mancato è stato il dialogo, lo scambio diretto ma non è mancato ciò che in genere cerco: un flusso narrativo, il racconto e il raccontarsi, l'unicità di un'esistenza e la riflessione su di essa. Avrei potuto rifare l'intervista e la registrazione ma mi è piaciuta l'idea di una doppia testimonianza. La testimonianza di un tempo straordinario, fuori dall'ordinario, dovuto da una pandemia in corso con il relativo confinamento forzato e la testimonianza di una persona straordinaria che avrebbe detto sicuramente le stesse cose dal vivo ma formulate probabilmente in modo diverso, in un tempo, in un luogo e in uno stato d'animo diverso. In quello stesso periodo Gabriele mi aveva mandato, sempre con delle registrazioni audio su telefono, un'altra testimonianza interessante e significativa di quel tempo. Sua mamma, nonna delle sue figlie, aveva registrato per le nipoti delle fiabe della tradizione orale e in francoprovenzale, tratte dal proprio bagaglio culturale. La forza della comunicazione prevarica frontiere e immobilità riuscendo a portare un proprio messaggio lontano, probabile seme per un nuovo frutto di un'antica pianta.
Traduzione della registrazione:
Ho sempre pensato che le mie radici non sono proprio nel posto dov'ero io. Con il passare del tempo ho avuto modo di credere che essere proprio di un posto è una questione di formazione culturale o sentirsi di quel posto lì è una questione culturale. Essere un montanaro in città o un cittadino in montagna mi ha dato l'occasione di avere termini di paragone, cercando sempre il modo di poter confrontare situazioni differenti, come usare lingue diverse.
Da bambino stavo in un palazzo dove c'erano altri miei parenti e altra gente che veniva da tanti posti, ognuno con il suo modo di parlare. Sentivo allora parlare alla maniera di Viù mia madre, sua sorella e mia nonna. Al modo di Traves (altro comune delle Valli di Lanzo, ndr.) da mio padre. Alla maniera di Richiaglio (frazione di Viù in cui si parla una variante della lingua locale particolare, ndr.) da mio zio. Al piano di sotto si parlava piemontese. Sopra veneto e emiliano e avanti così per una buona parte delle parlate d'Italia. I miei tra loro parlavano a nostro modo (francoprovenzale, ndr.), a mio fratello gli parlavano in piemontese e a me in italiano. Lavoravano tutti e due e così prima che andassi all'asilo mi ha guardato una balia che parlava quasi solo il calabrese. E' allora che ho formato il gusto per le sfumature espressive. Per la mia famiglia il francoprovenzale era la lingua madre, il piemontese la forma naturale per parlare con gli altri e l'italiano la convenzionalità.
Nella mia scultura parto sempre dall'idea del ritratto. Un ritratto non è solo una faccia ma il ricordo di una vita, la memoria, il modo di conoscere l'altro diverso da me. Riconoscendo gli altri uomini ci riconosciamo come uomini. La figura per me è diventata una lingua per raccontare e per raccontarsi in un momento di quel che siamo nella storia, come nelle parole c'è la cultura di una popolazione. Tutte le forme d'arte, la musica e la lingua, sono quel che resta nel setaccio del tempo in una società fatta di relazioni umane.
I colori che vediamo sulle montagne sono terapeutici. Il verde dei prati e delle piante dopo la pioggia, il grigio dei boschi di faggio che si mischia con le pietre, i castagni, l'acqua delle sorgenti, le cime delle rocce, sono un'ispirazione del mio lavoro artistico e mi piace portare delle sculture nei boschi, come fossero nate lì. La stessa sensazione l'avranno sentita generazioni di artisti che hanno trovato nelle nostre valli poesia e bellezza.
Testimonianza di: Gabriele Garbolino Rù (1974), 04/2020
Sentirsi di un luogo come sentirsi di appartenere a un mondo culturale è una scelta. Perlomeno si tratta di una scelta quando si può vedere questa possibilità. La possibilità di scegliere. Avere origini in un luogo e crescere in un altro è una condizione che favorisce lo sviluppo di un senso critico sulle cose. E' simile a essere di un luogo e non sentirsi di quel luogo. Ciò che siamo dobbiamo prima immaginarlo. Dare senso alle cose è dare forma, modellare le cose. Un aspetto profondo della condizione umana è il presagio della mancanza. Colmare il vuoto aiuta a trovare un proprio spazio, dovunque esso sia. Un altro aspetto profondo della condizione umana è il viaggio conoscitivo. Essere costantemente in viaggio non è solo una sensazione. Avere radici è come avere una buona base su cui poggiare durante il viaggio. Avere radici può essere un aspetto di appartenenza culturale oppure può essere inteso come condizione di appartenenza a un genere, il genere Homo, della famiglia degli ominidi, dell'ordine dei primati. Il termine, dal latino radïce, appartiene allo stesso gruppo di rāmu, ramo. Dalla terra al cielo dunque. Due aspetti di una stessa forma, come delle estensioni degli arti che agiscono come mezzi di un sistema sensitivo. Un ritratto è come un'istantanea di un sistema complesso. La sintesi e la somma degli eventi di una figura con una propria storia disegnata nel corpo. Un ritratto è un trarre indietro, un ricavare l'effigie di qualcuno. L'effigie è un rappresentare, un plasmare, un foggiare, un modellare e anche un immaginare. Ritrarre qualcuno è osservare, vedere, conoscere, cercare. Attraverso l'altro è possibile riconoscersi, vedersi e percepire un senso di appartenenza.
Un palazzo multi linguistico e multi culturale, come una torre di Babele in cui però il caos delle lingue non crea confusione ma stimola i sensi e favorisce lo sviluppo dell'attenzione alle sfumature.
Varie tonalità espressive, possibilità cromatiche, acustiche, olfattive, tattili in un gioco caleidoscopico e sinestetico di colori terapeutici. La varietà come ricchezza e risposta all'esigenza comunicativa. Un intreccio di suoni, voci e culture che come intricati sentieri si aprono a un panorama mischiandosi e portano a nuove vie comunicative. Un mondo che vuole mantenere una propria unicità ma che si scopre unico nel suo insieme. Un palazzo che risuona colori. Per vedere colori terapeutici bisogna sapere ascoltare, bisogna sentirli, conoscerli quei colori altrimenti si oltrepassano nell'indifferenza. I colori terapeutici del bosco, del bosco che si fa città e della città che diventa bosco. Portare delle sculture nel bosco è come un restituire. Un tentativo di tradurre, inteso nel suo senso etimologico: tradūcere, trasportare, condurre oltre, trasferire una persona o cosa da un luogo a un altro, ma anche dare senso. Tradurre un'idea, tradurre un rapporto, decifrare una lontananza che è somiglianza, un'analogia che è contrasto: uomo e natura. Si tratta dunque di un agire, un andare incontro, un attraversare una fitta rete di connessioni e riplasmare significato in un ambiente che lo si vuole vedere di poesia e bellezza.
Didascalia della foto:
Fotografia: Flavio Giacchero.
effigie (2019)
commenta