Giuseppe Perino, per chiunque lo conosca, è semplicemente Giusepìn. La sua musica, o meglio il suo modo di suonare (e di cantare), corrisponde alla sua personalità: solare, gentile, disponibile, entusiasta di condividere esperienze ed emozioni. Impara a suonare da molto giovane e lo decide quando sente per la prima volta un gruppo strumentale locale da ballo. Ne rimane attratto e affascinato, come un richiamo irresistibile, come se quella musica gli fosse da sempre familiare. Ciò di cui viene letteralmente folgorato non è tanto la linea melodica principale dei brani, o più in evidenza, quanto gli accompagnamenti. In effetti la musica tradizionale più antica è funzionale al ballo e si basa su formule, su modelli mobili sui quali è possibile costruire ogni volta un brano. Ogni brano può risultare quindi originale, nuovo, per quanto verosimigliante ad altri poiché ne condivide la struttura. Lo stesso accade nell'oralità quotidiana ed è particolarmente evidente con l'utilizzo della lingua madre locale francoprovenzale. Nella tecnica esecutiva degli strumenti musicali utilizzati per l'accompagnamento è peculiare l'uso di formule ritmico armoniche che corrispondono all'aspetto più arcaico e originale. La pulsazione ritmica è la base di ogni danza e tali formule sono la struttura necessaria sulla quale i passi di danza trovano il tempo e lo spazio per dispiegarsi. Si tratta di strutture tramandate nel tempo che rappresentano di fatto un modo di interpretare il tempo, di controllare il tempo, di vivere il tempo: una possibilità, una potenzialità esistenziale e collettiva.
Il suono amico è una definizione propria di Giusepìn ed è anche il titolo scelto per il documentario che ho realizzato con Luca Percivalle, di cui ho già accennato in altri numeri della rubrica. L'intenzione del documentario era di rappresentare, in modo per quanto più possibile corretto, questa tradizione musicale ma con il proposito di essere anche un tributo a chi tale tradizione la vive e contribuisce a mantenerla viva. Il suono amico di Giusepìn è la migliore sintesi e metafora di questo mondo, secondo noi.
Traduzione della registrazione:
Ma poi qui c'era solo la fanfara [inteso come piccolo insieme strumentale per il ballo, ndr.], non c'era la musica [intesa come banda musicale, ndr.]. La musica era un'altra, ma qui c'era solo la fanfara. Allora non c'era da suonare marce o quelle cose lì, quando ho imparato a fare la scala ho imparato così a suonare da ballo... puoi capire... è quello che mi piace ancora adesso. Quello che più mi piace è una fanfaretta lì da cinque o sei... La musica [banda musicale, ndr.] non mi sono mai tirato indietro perché... per non stare fuori dal giro ma altrimenti io non avrei mai suonato nella musica.... anche i concerti e quelle cose lì, sì sì sono belli da ascoltare ma io da mettermi lì in mezzo... sono sempre andato perché mi piaceva suonare, per essere della squadra. Ma la soddisfazione che ho avuto è dopo quando ho trovato la squadra lì, Notou e Silvestr: mannaggia, e quelli lì mi hanno proprio voluto bene.
E da allora abbiamo sempre suonato noi tre. Ma stai tranquillo che adesso che andiamo su ad ascoltare senti gli accordi... perfetti proprio, primo secondo e terzo. Notou lui era un artista proprio, lui faceva da terzo però dopo legava tutto... teneva tutto quello che c'era da... ora li ascolto ma sono già tutti morti.
Andiamo su sopra che ho i nastri, faccio sentire qualche suonata che facevamo nei tempi indietro che per me è un ricordo magnifico questo qui. Ogni tanto mi metto lì ad ascoltarli e non mi accorgo che passa un'ora, perché voglio ancora ascoltare questa qui, poi anche l'altra, poi anche l'altra... son sempre le stesse suonate perché siamo sempre i soliti a suonare, quando la registri una volta poi la registri un'altra volta magari una la suoni prima e l'altra la suoni dopo però le suonate sono quelle lì.
D'ogni modo c'è un entusiasmo proprio, io suono proprio con voglia non senza voglia, tanti suonano ma non proprio con voglia, io suono proprio con voglia, tu anche suoni con voglia.
La prima cosa se c'è una squadra a suonare bisogna essere amici perché se non sei amico non puoi suonare insieme, non puoi... suoni, però ha un suono freddo e non è un suono...non è un suono amico, è un suono freddo. L'amicizia è la prima cosa... Ma poi l'avrai già provato anche tu, se non c'è l'amicizia...
Testimonianza di: Giuseppe “Giusepìn” Perino (1929), Traves, fraz. Andrè, 06/2013
Il testimone nel dialogo si rivolge a me ma l'intervista l'ho realizzata insieme a Luca Percivalle.
La musica è certo una pratica culturale universale ma ha molte forme, molti utilizzi e diversi effetti sulle società con le quali ha un rapporto di corrispondenza, risonanza, un' influenza reciproca.
Giusepìn incontra la musica da ballo e ne rimane incantato. Si tratta di una specifica tradizione musicale molto vitale nelle Valli di Lanzo, dalle origini antiche. Anche la banda ha una propria tradizione e storia ma differente dagli insiemi strumentali da ballo. Si potrebbe considerare la banda il suono del “potere”, inteso come rappresentazione della sfera politica e militare mentre i gruppi da ballo sono il suono della festa e del rito, intesi nelle loro espressioni popolari. Si potrebbe quindi considerare un suono “civile” e un suono “militare” che potrebbero corrispondere alla dicotomia oralità e scrittura. Ovviamente non esistono distinzioni così nette e sebbene la musica da ballo sia per lo più “orale”, a memoria, a orecchio, mentre la banda utilizzi la scrittura, la partitura musicale, tali tradizioni nel tempo si sono sempre influenzate a vicenda. Ci sono però differenze e le si trovano soprattutto nell'intenzione, nella funzione, nell'estetica e nell'interazione tra i soggetti e tra i soggetti e la musica stessa. Giusepìn appartiene a questi ipotetici due mondi sonori ma sceglie, e sente proprio, il suono dei piccoli ensemble strumentali della musica da ballo.
Esiste una corrispondenza tra suono e persona o personalità. L'accordo perfetto non è solo un risultato estetico che si cerca di riprodurre, tramandato da una specifica tradizione musicale, ma anche trasposizione simbolica di una condivisione, metafora di un sentire. L'accordo perfetto può essere interpretato come una possibile forma di società. Un nucleo fondante dello stare insieme, in un modo estetico e positivo. Una sorta di formula di cui la rappresentazione in suono permette maggiore, o altra, consapevolezza. Si tratta di una struttura culturale che la musica contribuisce a veicolare.
Come ogni elemento culturale si apprende ma richiede anche una certa predisposizione o, meglio, un certo impegno. L'entusiasmo e la “voglia” di cui Giusepìn racconta rappresentano l'anticamera affinché sia possibile sentire e comunicare, connettersi con gli altri, con se stesso. Raggiungere quella sensazione di unità che è fondamentale per una società, una comunità.
Realizzare una determinata estetica musicale, una determinata commistione di suoni e sentimenti attraverso una struttura precisa che ne permette la condivisione equivale a riconoscersi.
Si esperisce l'esistenza in altra forma, si espande la coscienza per mezzo del piacere e nel momento in cui ciò accade viene iterata una pratica culturale. Si veicola con un complesso sistema di norme sociali e musicali una possibilità esistenziale, una forma di società di cui il suono dell'insieme strumentale ne rappresenta la sintesi. Come se fosse un messaggio, un messaggio sonoro che si decodifica solamente nell'attimo temporale in cui si manifesta.
Perché ciò avvenga non è sufficiente fare musica insieme ma essere insieme in una dimensione sinestetica e come tale anche la temperatura, un determinato colore, risultano essere sintomo di buona riuscita. Il suono deve essere caldo. Sorta di metafora della vita stessa, del corpo e dei corpi che si sentono. Come antichi segni lasciati nel grande mare del tempo, tracce che indicano delle vie possibili. Non c'è probabilmente un fine preciso se non quello di permettere di stare in un luogo insieme e questo permette dei benefici. Sentirsi un insieme ha anche la forza di annullare la solitudine e dunque permette di accedere a una sorta di immortalità. Molto distante come prospettiva dalle società che invece fondano la propria struttura sull'individualità e che dunque, si potrebbe immaginare, costruiscono una possibilità esistenziale in una dimensione totalmente fredda.
Didascalia della foto:
Fotografia: Flavio Giacchero.
Le chien noir (1992)
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