La voce e il pensiero di questo numero sono di Mauro Vana, originario di Mombresto, Comune di Pessinetto. Purtroppo la sua dipartita è stata precoce e inaspettata ma intensa ancora è la sua presenza. Figura straordinaria, ha personificato la propria cultura tramandando non solo un repertorio musicale ma anche un modo di essere e di suonare. Musicista dotato di un talento raro, maestro di banda, è stato una persona assolutamente altruista e generoso nel regalare insegnamenti. Sempre presente nelle occasioni in cui si manifesta la musica nella cultura è stato vero amico per molti, per tutti coloro che si sono avvicinati e l'hanno conosciuto. Il suo pensiero è un pensiero profondo e filosofico, spontaneo e immediato che fluisce lucido e gentile tanto in un'intervista quanto nelle feste, nei riti, alla luce dell'alba e nelle infinite notti dove comunicare è anche sapere ascoltare: confidenze, gioie e dolori, la difficile esistenza quotidiana che si fa meraviglia quando la presenza è condivisa e la solitudine annullata.
Traduzione della registrazione:
Bisogna conservare lo spirito perché altrimenti non si conservano neanche le musiche. Se qui più nessuno ballasse le courente [danza tradizionale, ndr] andrebbe a finire che, dopo due o tre anni, uno inizia a non suonarle più, l'altro inizia a non suonarle più e più nessuno le suona. Diranno: «ma una volta suonavano quella musica che faceva più o meno così». Tu la suoni e ti guardano come per dire: «ma cosa suonano questi qua». E invece no. Ma come per le courente vale anche per tante altre cose.
E poi anche ricordare come suonavano una volta e “metterlo” [nella tua musica, ndr]... perché quelle lì sono suonate abbastanza vecchie, cioè abbastanza, sono vecchie no, che... magari erano lì nel cassetto e andranno poi perse, dopo un po'. Se si può tramandare... Solo che loro [suonatori tradizionali del passato, ndr]... io mi ricordo la musica vecchia che c'era una volta a Mezzenile, aveva già un altro... un altro “goddou” di suonare: ne suonavano una, poi bevevano una volta, poi se la contavano, poi bevevano un' altra volta, poi ne suonavano un'altra... Ora vedi che suoniamo in giro via un'altra, via un'altra, è già cambiato. Anche i tempi magari, che ti dicono fai così o non puoi fare così. Tutto influisce: i tempi, la gente, il modo di vivere anche, forse. E ora è tutto più veloce...
Quando suono penso... penso a niente. Dopo, quando smetto, incomincio a pensare, dopo sì. E dopo, il giorno dopo, penso ancora di più e penso a quello che ho fatto e che magari se fossi stato un po' più bravo... No, quando suono no, totalmente libero. Cioè, penso a suonare, penso a quello che devo suonare, ma quando suono penso a niente. È l'unico momento forse che penso a niente.
Testimonianza di: Mauro Vana (1967-2016), Viù, Col San Giovanni, 2013
Si tratta di frammenti di significati che costituiscono una sorta di mappa sensoriale. Vi è qualcosa di sensuale in tutto ciò. In quanto connesso alla sollecitazione dei sensi, sensuale, fa riferimento all'origine etimologica latina dal significato di sensibile, che ha sensibilità, sensuālitas. Dare senso a qualcosa è quindi anche possibile attraverso il sentire, il percepire. Senso come facoltà di ricevere impressioni, la facoltà di sentire. I sensi permettono coscienza di sé e delle proprie azioni. Senso indica anche una direzione, un verso. Conservare lo spirito può essere inteso come seguire un tracciato di significati, sentieri emotivi e sociali, conservare un soffio vitale, lo spirito arcaico.
E' un discorso anche sul tempo e il significato. Non di rado accade che rimane un nome, un oggetto, un toponimo ma si perde il significato oppure si decontestualizza, si svuota, si perde il sacro, si consuma e basta. Non si tratta dunque di conservare solo un repertorio, una determinata musica ma un'essenza, una musicalità che è un insieme di fattori che danno forma a una possibilità, un modo di essere società. Conservare qualcosa che non è del tutto tattile ma che è profondamente influenzante, una grande forza che agisce. Uno spirito condiviso e tramandato, che si trasferisce con la comunicazione. Una musica che contribuisce a mantenere una comunità unita, una comunità che veicola anche attraverso la musica e la danza determinati valori che danno forma. Una musica e una società che attraversano il tempo ma che dal tempo dipendono. La musica si disfa nel momento in cui si crea, il tempo la sostiene e immediatamente l'annienta. Il tempo è il luogo dove la musica accade ma anche dove cessa. In questo incessante nascere e morire una società può trovare un proprio equilibrio e tramandarlo attraverso infinite varianti, se si riconosce nel tempo un significato. Un incessante agire che restituisce una sensazione di appartenenza. Si conserva uno spirito in quanto partecipazione. Una cultura che del tempo ha bisogno per prendersi un proprio spazio e riempirlo con la presenza. Uno spazio che implica quindi comprensione. Una società, una cultura che per continuare a esistere ha bisogno di conservare un proprio spirito e dunque resistere a una contemporaneità che a sua volta, per struttura, ha bisogno di uniformare.
E poi l'oblio, il vuoto in un pensiero che non utilizza più convenzioni pratiche quotidiane ma diventa altro, attraverso il suono partecipa a una sorta di estasi, condividendola. Una ricerca interna di vastità di quiete, come una rivincita sul tempo. Davanti all'abisso senza precipitare, sospesi in un attimo infinito, un vuoto che riempie, un'immagine che ha sembianze di libertà.
Didascalia della foto:
Fotografia: Flavio Giacchero.
The dance of the forest (2010).
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