Questa testimonianza compare anche nel film documentario Lou soun amis – Il suono amico che ho realizzato insieme a Luca Percivalle e in quel caso, insieme alle parole, sono anche sguardi e gesti a dare significato. Il tema della musica e del canto nella guerra è anche occasione per citare un libro da poco pubblicato Al rombo del cannon, grande guerra e canto popolare di Franco Castelli, Emilio Jona e Alberto Lovatto alla cui realizzazione, per quanto riguarda i documenti sonori allegati, ho avuto il piacere di collaborare e da cui è tratto uno spettacolo musicale del gruppo Blu l'azard.
La giovane età degli intervistati è testimonianza della vitalità di questa lingua, per quanto minoritaria, e del contesto culturale ad essa inscindibile.
Traduzione della registrazione
Io so che durante la guerra mio nonno qui di Vrù per partire si è preso la fisarmonica, che è un peso non indifferente, eppure una volta tra tutti... gli piaceva la musica... e l'ha usata, ce l'ho ancora adesso, tutta distrutta. È partito con la fisarmonica ed è tornato con la fisarmonica e ha fatto la guerra con la fisarmonica.
Una volta, un aneddoto che mi ha raccontato mio zio, a cantare, lui ha pochi anni di differenza da Ciano... erano quella squadra lì che cantavano da ragazzi, gli ha preso la voce e ha rischiato di prendersele! Ognuno faceva la sua voce e guai a copiarla. E suonare anche, quelli che di solito fanno i primi o i secondi e poi anche negli accompagnamenti che comunque non è una parte impegnativa cerchi sempre di fare la stessa nota no, se senti che uno fa una nota tu ne fai un'altra. Cambia un po' e l'armonia rimane più bella.
Diciamo che quando suoni, in genere, ormai le squadre che sono affiatate, ognuno più o meno sa già che attacca la sua [sottinteso musica, ndr.] e uno non attaccherà mai quella suonata lì che sa già che è lui che la farà prima o poi. E poi come nelle courende [la danza tradizionale locale, la corrente, ndr.] si alternano le parti no, un po' ai clarini, un po' alle trombe. Per dire, io so già che magari una sera che andiamo lì per suonare prima che sia finito faccio le mie due o tre che conosco e gli altri se sono lì presente lo sanno e non le attaccano ma non perché io lo vieto... regole non scritte via e io lo stesso. Quella che suonerà un altro non la suono io.
Una volta, sceso da san Domenico [santuario in montagna in cui si tiene un'antica festa annuale, ndr.], il trombone è partito giù per le rive, avevo bevuto un po', però non mi sono mai fatto male. E quella volta là, sempre a san Domenico, siamo venuti giù tutto suonando, e pioveva pure forse... non so più cosa faceva... abbiamo sempre suonato, sempre suonato.
Testimonianza di Davide Genotti Ceschìn (1991), Cantoira Vrù, 2012. E' presente e partecipa Andrea Ravicchio (1989).
Il tempo del vivere è una sorta di presente costante. Il passato narrativo cioè non è mai così lontano dal presente. Si tratta più di un qui e ora sempre.
Aneddoti, storie, racconti che si rigenerano ogni volta che vengono citati, in cui labile è il confine tra reale e immaginario ma sempre suscitano l'impressione di qualcosa di significativo e la forza della narrazione ci pone davanti a qualcosa di vero. Un flusso narrativo formulare che è innanzitutto suono ma anche un caleidoscopio di immagini da cui attingere e riformulare. Un guardare (in greco skopèo) delle figure (aîdos) in cui l'essenza è il bello (kalòs) e un restituire altrettante forme per comunicare, condividere frammenti esistenziali. È un mondo che sorride, anche nel dramma, è un mondo gentile. La guerra è guerra reale ma è anche luogo mitizzato, un'immagine impressa nei canti. La guerra è un luogo e ogni luogo può risuonare di musica. Portando la musica con sé si porta un mondo intero. Indubbio il potere apotropaico della musica e il beneficio che si prova con ciò che la musica richiama. In questa cultura la voce si può rubare e per questo la voce nella musica non solo è forte presenza esistenziale ma rappresenta anche un'identità individuale. Si tratta quindi di un delicato rapporto di equilibri tanto musicali quanto sociali. All'interno di un contesto musicale tradizionale seguire un ordine prestabilito non è limitativo, favorisce la creatività e permette che si realizzi un suono, un'estetica a cui si tende. È un riconoscersi dunque. Una musica che appartiene alle persone prima ancora che a un luogo ma che appartiene a quelle persone che vivono in quel luogo. Qualcosa di personale, un suono distintivo che indica presenza e si lascia spazio affinché essa possa rivelarsi.
La musica che fa uso del tempo per manifestarsi e una società che trova anche in quel tempo una via per testimoniare la propria esistenza. In questa fugacità si trova una sorta di consapevolezza e di leggerezza. Una società che usa il suono per dare spazio alla propria presenza, individuale e collettiva. Una durata limitata ma che ritorna. Un eterno ritorno in cui le varie voci per un attimo esistono e si incontrano in quel mondo che già conoscono, perché appartiene loro, e che in fondo sanno che ha qualcosa di infinito. In quel momento la propria voce, che sia strumentale o vocale, è importante e ha senso in un determinato ordine. Un ordine che permette il raggiungimento di una specifica estetica. Solo in quel modo, per quella breve durata, tutto vibra, insieme e si ha l'impressione di partecipare a quell'infinito.
Questo paesaggio è un ambiente prettamente alpino in cui ogni vetta ha un nome e nella sua immobilità costantemente si trasforma con il cambio delle stagioni ed è in un piccolo gruppo di persone che cantano e che suonano in qualche suo luogo che tutto risuona.
Fotografia: Flavio Giacchero.
Il falò e la luna (2017).
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