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AMPAI:-04 – L'arte del canto: muoversi senza spostarsi.
Leggi, ascolta, immagina. Frammenti di un mondo vivo.

AMPAI:-04 – L’art doou chant: alà eun djir sensa boudjì.
Lezri, scoutà, imaginà. Toc d’ën moundou vìou.

La musica tradizionale e il contesto culturale di una piccola comunità alpina di minoranza linguistica francoprovenzale, le Valli di Lanzo (TO)

di Flavio Giacchero. Traduzione di Teresa Geninatti Chiolero

AMPAI:-04 – L'arte del canto: muoversi senza spostarsi. Leggi, ascolta, immagina. Frammenti di un mondo vivo.
italiano

Il canto polivocale, canto a più voci, è una prassi esecutiva molto antica. Nelle Valli di Lanzo, così come in un contesto culturale alpino più esteso, è una forma di musicalità e socialità ancora vitale, che si è tramandata oralmente nel tempo attraverso la pratica e le generazioni. E’ interessante notare quante similitudini abbia con la musica strumentale locale e constatare come entrambe le pratiche abbiano una struttura di base analoga: regole precise di rapporti tra le parti vocali in cui il ruolo delle voci di accompagnamento è di fondamentale importanza. Il canto polivocale di tradizione orale si differenzia notevolmente dal canto di tradizione scritta dei cosiddetti cori alpini, sia per la forma esecutiva sia per le occasioni in cui si manifesta.

Siamo nel cuore dei suoni di queste Valli. Atteggiamento migliore non può che essere l'ascolto, partendo, come abituati in questa rubrica, dalla voce e dal pensiero di un testimone indigeno. Queste Valli non sono troppo estese, nemmeno molto abitate, sebbene ci sia una presenza identitaria e viva notevole. Eppure, decidendo di percorrerle a piedi, i tempi e gli spazi si dilatano. Ancor di più se si vuole ascoltarle e comprenderne l'essenza. I tempi e i confini in questo caso si fanno vaghi. Pierluigi Ubaudi, per tutti Gigi, ci aiuterà a disvelare qualcosa in questo breve cammino, il tempo della lettura e dell'ascolto di questo numero.

In genere, nella ricerca antropologica classica, è risaputo che colui che è “all'interno” di una tradizione, chi ne è portatore, non ne sia totalmente consapevole. In verità Gigi è assolutamente dentro il suo mondo di appartenenza ma al contempo ne è anche fuori. E' indubbiamente un viaggiatore. Riconosciuto come un grande cantore, interprete della tradizione orale, maestro, musicista, artigiano, condivide con me molti progetti musicali e artistici ed è personalmente fonte ispirativa ma soprattutto caro amico e compagno di lunghe chiacchierate.

Traduzione della registrazione:

Il verbo bourà è una parola che non si utilizza sempre. Si utilizza bourà ad esempio quando ci sono le bestie da radunare, le vacche; allora c'è uno davanti che le chiama e l'altro che le fa correre, le raduna, le tiene tutte insieme, le fa viaggiare nella direzione giusta. E la stessa parola bourà si usa anche nel canto, specialmente per quelli che fanno la voce da basso. Bourà da basso è una parola che ha tanti significati. Vuol dire spingere, usare la voce in un modo che tenga su tutto il resto del canto, che tiene su quelli che fanno le voci più alte. I bassi, quelli che tengono queste note lunghe anche senza dire tutte le parole ma tenendo note lunghe un po' trascinate, i bassi sono quelli che tengono insieme tutto il canto. E allora penso che sia per questo che si dice bourà quando si parla delle bestie, di radunarle ma alla fine si utilizza la stessa parola anche nel canto: bourà da basso, tenere insieme tutti quelli che cantano, tenerli insieme, non farne scappare nessuno, tenere il gruppo unito.

Canto perché mi piace, perché mi da una soddisfazione, e la soddisfazione non è solo una soddisfazione musicale o della tecnica del canto. E' anche la soddisfazione di trovarsi insieme ad altre persone e mettere le voci insieme, mischiare le voci, mettere la mia voce insieme a quella degli altri e allora non è solo una questione musicale, è anche una questione di società, condividere un'esperienza insieme ad amici, ad altre persone. E' un modo anche di conoscersi e farsi conoscere.

Un'impressione di piacere che riguarda il fatto di cantare è quello di sentirsi libero mentre canti. E' una soddisfazione che non è neanche tanto semplice spiegare, è quasi come fare un discorso in confidenza con un amico e sentirsi libero di dire quel che vuoi senza nessuno che ti osservi particolarmente, senza nessuno che ti giudichi. Questa idea che quello che fai è una forma di comunicazione e allora è una forma... mettere l'arte del canto e renderla come un discorso, come un dialogo con gli amici.

Testimonianza di Pierluigi Ubaudi, Gigi (1973), Cantoira, 2018.

In un contesto culturale di tipo tradizionale permangono elementi arcaici e sono meno definiti i confini tra mondo animale, umano e vegetale. Un insieme di scambi e modalità di adattamento attraverso linguaggi differenti con il fine della sopravvivenza e convivenza.

Un suono dalle frequenze basse che è richiamo. Il canto, in questa tradizione, è per lo più narrazione, e cioè ha si un significato verbale ma all’interno della struttura polivocale la funzione dei bassi non necessariamente è pronunciare un testo in modo comprensibile. E' più suono. Un suono che indica una via attraverso un richiamo e tiene uniti, non fa disperdere il gruppo. Sostiene le altre voci, coloro che raccontano storie. Narrazione che è possibile e prende forma e senso se sostenuta dalle voci basse. Ma anche voci basse che hanno senso e forma se sostengono frequenze maggiori. Suoni lunghi e larghi, una sorta di bordone, che, come se parlassero altra lingua, non raccontano storie ma permettono che ciò avvenga. O perlomeno che avvenga sotto forma di un'estetica condivisa e riconosciuta. Una forma estetica che è fondamentalmente comunicazione. Una struttura sonora che permette una sorta di conoscenza, o coscienza, attraverso gli altri. Si tratta solo di stare insieme e percorrere insieme un cammino. Un muoversi in una dimensione altra in cui il suono è essenza e presenza, un luogo che vibra.

Non è mai quindi solo un cantare. E' indubbiamente un vivere in cui ciò che si è si fa voce e prosegue per un determinato periodo temporale l'esperienza esistenziale sotto altra forma. E' possibile questo percorso esperienziale poiché guidati attraverso un sentiero musicale che conduce in un luogo in cui fondamentalmente si sta bene. Non si è più soli, colma la solitudine, non si è più corpo. Non ci si può perdere in quanto condotti e sorretti da una sorta di fluido, di corrente, sotto forma di suono. Qualcosa accade in questa transizione. Un passaggio che è trasformazione da uno stato ad un altro. Il suono guida ma suono si diventa. Attraverso una forza liberatoria ci si sente, si sente altro insieme ad altri. Un'unica identità mobile e fluida condivisa. Antichi sentieri percorsi che disvelano potenzialità percettive altre dal quotidiano, al di fuori dell'ordinario sentire, straordinarie quindi. Una metamorfosi, un'esperienza che per il tempo della durata annulla l'oblio dell'ignoto e trasforma la solitudine in moltitudine. Rinnova in questo senso la società in cui, ontologicamente, la voce del singolo, la presenza singolare esiste in quanto presenza collettiva.

Qualcosa dunque che trascina, che sostiene e accompagna. Un muoversi senza spostarsi, come avviene per il regno vegetale, in cui si manifesta una relazione tra i presenti. Un comunicare attraverso il suono, un suono che tiene uniti. Non sappiamo dove conduce questo percorso ma sappiamo che segue una specifica direzione, che è quella corretta, nel momento in cui ci sono gli elementi necessari: richiami, presenze, suoni determinati. Una struttura multiforme, fluida, che permette di conoscere sé e riconoscere sé. Il mezzo affinché questo avvenga sono gli altri e questa esperienza ha la forza di rendere liberi, almeno per la durata dell'evento, in cui non c'è spazio per il giudizio. Ciò che viene richiesto è presenza esistenziale, la capacità di seguire un flusso sonoro e immaginario lasciando sé per unirsi agli altri sotto altra forma. Una relazione fra esseri viventi che comunicano e sperimentano lo stare insieme in una dimensione estetica ricavandone benessere e piacere.

Didascalia foto:

Fotografia: Flavio Giacchero.

Flŭere (2016).

©

http://www.instagram.com/p/BmAwedRnN5A/?taken-by=flaviogiacchero

franco-provenzale

Lou chant polivoucal, chat a tèntë veus, ou i ëst ‘na maneri d’ezecusioun gro ëntica. Ënt ël Valadë ëd Leun, parei m’ën countest ëlpin coultural più grant, sitta è i ëst ‘na foueurma ëd muzicalità é souchalità ëncoù vitlala. Cou’s tramandount ouralmënt ënt ‘oou ten atravërs l’utilizi é ël generasioun. È i ëst nechesari vè tentë ou sount ël soumilhënsi qu’ è i eu a to la muzica strumental loucal é vè coumë toutë è douë ou i ont ‘na strutura ëd bazë qu’è i ëst la medema: regoulë prechizë për li raport tra ël veus, ëndoua lou rouolo ëd lë veus d’acoumpanhamënt ou i ëst ëd foudamëntal ëmpourtënsi. Lou chant polivoucal ëd trëdisioun ourala ou s’ diferensiët gro da li cor ëlpin, sia për foueurma sia për ërz’oucazioun ëd manifestasioun.

Sèn ënt ‘oou quër ëd li soun ëd stë Valadë. L’atejamënt più just ou i ëst dë scoutà, ëncaminënt, coumë d’abitudi ënt ësta roubrica, da la veus é daou pensé d’ën testimoun loucal. ‘Stë Valadë ou sount vermënt lounge é poc ëbitaië, anquë se a to ‘na prezensi identitaria é viva noutevoul. Epura, can cou s’ dechidët ëd falë a pìa, li ten é lhë spasi ou s’ dilatount. Ëncoù più sé ès veut scoutà é quëpì l’esensi. Li tèn é li counfin ou s’ moustrount pi nhint define. Pierluigi Ubaudi, për tuiti Gigi, ou nou aidët a dëscruvì, ënt ëstou quitì përcoueurs, lou ten dla letura é dl’ascolt ëd ‘sto numer.

D'ëd solit, ënt la richerca antropoligica clasica, tuiti ou sont quë “si cou istount ëddin” a ‘na trëdisioun, si cou sount li pourtatoù, ou sount nhint counsapevoul. Ën verità Gigi ou i ëst coumplëtamënt ëddin a lou soun moundou d’apartenënsi é ënt l’istes moumënt ou n’eu fora. Quiël ou i ëst d’ëzgù ën vijatoù. Ou i ëst counhusù coumë ën grant cantore, cou i ëst ën grado d’ënterpretà la trëdisioun ourala, magister, muzichista, ou coundividët avé me tenti prouget muzical é ërtistic é ou i ëst persounalmënt ‘na sourgent ispirativa, ma più ëd tout ën car amis é sochou ëd loungë chacharadë.


Tradusioun dla registrasioun:

Il verbo bourà è una parola che non si utilizza sempre. Si utilizza bourà ad esempio quando ci sono le bestie da radunare, le vacche; allora c'è uno davanti che le chiama e l'altro che le fa correre, le raduna, le tiene tutte insieme, le fa viaggiare nella direzione giusta. E la stessa parola bourà si usa anche nel canto, specialmente per quelli che fanno la voce da basso. Bourà da basso è una parola che ha tanti significati. Vuol dire spingere, usare la voce in un modo che tenga su tutto il resto del canto, che tiene su quelli che fanno le voci più alte. I bassi, quelli che tengono queste note lunghe anche senza dire tutte le parole ma tenendo note lunghe un po' trascinate, i bassi sono quelli che tengono insieme tutto il canto. E allora penso che sia per questo che si dice bourà quando si parla delle bestie, di radunarle ma alla fine si utilizza la stessa parola anche nel canto: bourà da basso, tenere insieme tutti quelli che cantano, tenerli insieme, non farne scappare nessuno, tenere il gruppo unito.

Canto perché mi piace, perché mi da una soddisfazione, e la soddisfazione non è solo una soddisfazione musicale o della tecnica del canto. E' anche la soddisfazione di trovarsi insieme ad altre persone e mettere le voci insieme, mischiare le voci, mettere la mia voce insieme a quella degli altri e allora non è solo una questione musicale, è anche una questione di società, condividere un'esperienza insieme ad amici, ad altre persone. E' un modo anche di conoscersi e farsi conoscere.

Un'impressione di piacere che riguarda il fatto di cantare è quello di sentirsi libero mentre canti. E' una soddisfazione che non è neanche tanto semplice spiegare, è quasi come fare un discorso in confidenza con un amico e sentirsi libero di dire quel che vuoi senza nessuno che ti osservi particolarmente, senza nessuno che ti giudichi. Questa idea che quello che fai è una forma di comunicazione e allora è una forma... mettere l'arte del canto e renderla come un discorso, come un dialogo con gli amici.


Testimouniënsi ëd Pierluigi Ubaudi (1973), Quëntoira, 2018.

Ënt ën countest coultural ëd tipou trëdisiounal ou istount element arcaic é ou sount meno define li counfin tra lou moundou dël bestie, di om é di arbou. N’ansem dë squëmbi é moudalità d’atamënt atravërs lingouajou diferent a to l’ëscopo dla soupravivensi é la counvivensi.

Ën soun dal frecouensi basë cou i ëst ërcham. Lou chant, ënt ësta tradisioun, è i ëst për lou più counta: ou i eu ën sinhificà verbal ma ëddin a ‘na strutura polivoucala, la founsioun dli bas ou i ëst nhint nechesariamënt prounounsìa ën testo ën maneri coumprensibil. Ou i ëst più soun. Ën sou cou moustrët ‘na vì atravers n’ërcham é ou tint unì, ou fait nhint dësperdri lou grouppo. Ou soustint ërz’aoutrë veus, si cou countout ‘na counta. Counta que è i ëst pousibil é è piët foueurma é senso se sustenuë dal veus basë. Ma ëd co veus basë cou i ont sens é foueurma se ou tinhount frecouensi magiour. Soun lounc é larc, ‘na spechë ëd bourdoun, cou, parei mou s’ descourisount ‘na lenga diferenta, ou countount nhint countë, ma ou font ën maneri que seun ou capitët. O aoumeno cou capitët coumë ‘na foueurma d’estetica coundiviza é ërcounhusua. ‘Na foueurma estetica qu’è i ëst foundamentalmënt coumounicasioun. ‘Na strutura Sonora qu’è portët counoushensi, o coushensi, atravers ërz’aoutri. Ès tratët mëc d’istà ënsembiou é fà ënsembiou ën percoueurs. ‘Na meneri ëd bougì ënt una dimensioun aoutra ëndoua lou soun ou i ëst esensi é prezensi, ën post cou vibrët.

Ou i ëst mai mëc chëntà. Ma sensa dubi ‘na maneri ëd vivri ëndoua sën que sen ou s’ fait veus é ou countinouët për ën cherto periodo ëd ten l’esperiensi ezistensial ënt n’aoutra foueurma. ‘Stou percoueurs ezistensial ou i ëst pousibil përqué ën percoueurs musical ou portët ënt ën post oundoua ou së sta bin. Ou s’ eu pi nhint da soul, cou ëmpinisët la solitudinë, ou s’eu pi nhint ën corp. Ma ès peut nhint perdsë përqué ou s’eu pourtà é sustënù da ‘na spechë ëd flouido, ëd courent, cou i eu la foueurma ëd soun. Quërcoza è capitët ënt ‘ësta trësfourmasioun. Ën pasajou cou i ëst trësfourmasioun da në stato a l’aoutrou, Lou soun ou gouidët ma ou nou fait vinì soun. Atrevers ‘na forsi liberatoria onhidun ou s’ sintënt, ou s’ sintët quërcoza d’aoutrou ënsembiou arz’aoutri. Unica identità mobile é flouida coundiviza. Ëntic sënté përcoueurs cou moustrount poutensialità perchetivë diferentë daou coutidiën, fora da l’ourdinari sintì è couindi straordianari. ‘Na metamorfosi, n’esperiensi que për lou ten cou durët la muzica ou canchelët l’oblio dl’inhoto é ou trasfoueurmët la solitudi ën moultitudi. Ënt ëstou sens ou fai neuva la souchetà ëndoua, ontologiamente, la veus d’un, la prezensi d’un è ezistët grasië a la prezensi couletiva.

Quërcoza couindi cou trashinët, cou soustint é coumpanhët. N’alà sensa bougì, coum’ è capitët për ël pieuntë, ëndoua ou s’ manifestët ‘na relasioun tra li prezent. ‘Na maneri ëd coumunicà atravers lou soun, lou soun cou tinti groupà. Ès seu nhint ëndoua ou portët ‘stou percoueurs, ma ou segouët ‘na spechifica diresioun, qu’è i ëst sella justa, can que lhi element ou sount nechesari: ërcham, prezensi, soun determinà. ‘Na strutura moultiformë, flouida, cou fait counhuistri se stes é arcounhuistri lou sé. La maneri përqué ou pouisët quëpità ‘sta choza ou sount lh’aoutri é st’esperiensi è i eu la forsi ëd rendri liber, aoumeno për la durà dl’evento, ëndoua è i eu nhint spasi për lou judisi. Seun qu’è vint chamà è i ëst la prezensi ezistensial, la quëpëchitò ëd segouì lou flousso sonoro é imaginario lasënt sé për groupasë arz’aoutri sout n’aoutra foueurma. ‘Na relasioun fra eser vivënt cou coumounicoun é ou sperimentount l’istà ënsembiou ënt ‘na foueurma estetica d’ëndoua ou piount beneser é piacherë.


Didascalia foto:

Fotografia: Flavio Giacchero.

Flŭere (2016).

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