Il canto polivocale, canto a più voci, è una prassi esecutiva molto antica. Nelle Valli di Lanzo, così come in un contesto culturale alpino più esteso, è una forma di musicalità e socialità ancora vitale, che si è tramandata oralmente nel tempo attraverso la pratica e le generazioni. E’ interessante notare quante similitudini abbia con la musica strumentale locale e constatare come entrambe le pratiche abbiano una struttura di base analoga: regole precise di rapporti tra le parti vocali in cui il ruolo delle voci di accompagnamento è di fondamentale importanza. Il canto polivocale di tradizione orale si differenzia notevolmente dal canto di tradizione scritta dei cosiddetti cori alpini, sia per la forma esecutiva sia per le occasioni in cui si manifesta.
Siamo nel cuore dei suoni di queste Valli. Atteggiamento migliore non può che essere l'ascolto, partendo, come abituati in questa rubrica, dalla voce e dal pensiero di un testimone indigeno. Queste Valli non sono troppo estese, nemmeno molto abitate, sebbene ci sia una presenza identitaria e viva notevole. Eppure, decidendo di percorrerle a piedi, i tempi e gli spazi si dilatano. Ancor di più se si vuole ascoltarle e comprenderne l'essenza. I tempi e i confini in questo caso si fanno vaghi. Pierluigi Ubaudi, per tutti Gigi, ci aiuterà a disvelare qualcosa in questo breve cammino, il tempo della lettura e dell'ascolto di questo numero.
In genere, nella ricerca antropologica classica, è risaputo che colui che è “all'interno” di una tradizione, chi ne è portatore, non ne sia totalmente consapevole. In verità Gigi è assolutamente dentro il suo mondo di appartenenza ma al contempo ne è anche fuori. E' indubbiamente un viaggiatore. Riconosciuto come un grande cantore, interprete della tradizione orale, maestro, musicista, artigiano, condivide con me molti progetti musicali e artistici ed è personalmente fonte ispirativa ma soprattutto caro amico e compagno di lunghe chiacchierate.
Traduzione della registrazione:
Il verbo bourà è una parola che non si utilizza sempre. Si utilizza bourà ad esempio quando ci sono le bestie da radunare, le vacche; allora c'è uno davanti che le chiama e l'altro che le fa correre, le raduna, le tiene tutte insieme, le fa viaggiare nella direzione giusta. E la stessa parola bourà si usa anche nel canto, specialmente per quelli che fanno la voce da basso. Bourà da basso è una parola che ha tanti significati. Vuol dire spingere, usare la voce in un modo che tenga su tutto il resto del canto, che tiene su quelli che fanno le voci più alte. I bassi, quelli che tengono queste note lunghe anche senza dire tutte le parole ma tenendo note lunghe un po' trascinate, i bassi sono quelli che tengono insieme tutto il canto. E allora penso che sia per questo che si dice bourà quando si parla delle bestie, di radunarle ma alla fine si utilizza la stessa parola anche nel canto: bourà da basso, tenere insieme tutti quelli che cantano, tenerli insieme, non farne scappare nessuno, tenere il gruppo unito.
Canto perché mi piace, perché mi da una soddisfazione, e la soddisfazione non è solo una soddisfazione musicale o della tecnica del canto. E' anche la soddisfazione di trovarsi insieme ad altre persone e mettere le voci insieme, mischiare le voci, mettere la mia voce insieme a quella degli altri e allora non è solo una questione musicale, è anche una questione di società, condividere un'esperienza insieme ad amici, ad altre persone. E' un modo anche di conoscersi e farsi conoscere.
Un'impressione di piacere che riguarda il fatto di cantare è quello di sentirsi libero mentre canti. E' una soddisfazione che non è neanche tanto semplice spiegare, è quasi come fare un discorso in confidenza con un amico e sentirsi libero di dire quel che vuoi senza nessuno che ti osservi particolarmente, senza nessuno che ti giudichi. Questa idea che quello che fai è una forma di comunicazione e allora è una forma... mettere l'arte del canto e renderla come un discorso, come un dialogo con gli amici.
Testimonianza di Pierluigi Ubaudi, Gigi (1973), Cantoira, 2018.
In un contesto culturale di tipo tradizionale permangono elementi arcaici e sono meno definiti i confini tra mondo animale, umano e vegetale. Un insieme di scambi e modalità di adattamento attraverso linguaggi differenti con il fine della sopravvivenza e convivenza.
Un suono dalle frequenze basse che è richiamo. Il canto, in questa tradizione, è per lo più narrazione, e cioè ha si un significato verbale ma all’interno della struttura polivocale la funzione dei bassi non necessariamente è pronunciare un testo in modo comprensibile. E' più suono. Un suono che indica una via attraverso un richiamo e tiene uniti, non fa disperdere il gruppo. Sostiene le altre voci, coloro che raccontano storie. Narrazione che è possibile e prende forma e senso se sostenuta dalle voci basse. Ma anche voci basse che hanno senso e forma se sostengono frequenze maggiori. Suoni lunghi e larghi, una sorta di bordone, che, come se parlassero altra lingua, non raccontano storie ma permettono che ciò avvenga. O perlomeno che avvenga sotto forma di un'estetica condivisa e riconosciuta. Una forma estetica che è fondamentalmente comunicazione. Una struttura sonora che permette una sorta di conoscenza, o coscienza, attraverso gli altri. Si tratta solo di stare insieme e percorrere insieme un cammino. Un muoversi in una dimensione altra in cui il suono è essenza e presenza, un luogo che vibra.
Non è mai quindi solo un cantare. E' indubbiamente un vivere in cui ciò che si è si fa voce e prosegue per un determinato periodo temporale l'esperienza esistenziale sotto altra forma. E' possibile questo percorso esperienziale poiché guidati attraverso un sentiero musicale che conduce in un luogo in cui fondamentalmente si sta bene. Non si è più soli, colma la solitudine, non si è più corpo. Non ci si può perdere in quanto condotti e sorretti da una sorta di fluido, di corrente, sotto forma di suono. Qualcosa accade in questa transizione. Un passaggio che è trasformazione da uno stato ad un altro. Il suono guida ma suono si diventa. Attraverso una forza liberatoria ci si sente, si sente altro insieme ad altri. Un'unica identità mobile e fluida condivisa. Antichi sentieri percorsi che disvelano potenzialità percettive altre dal quotidiano, al di fuori dell'ordinario sentire, straordinarie quindi. Una metamorfosi, un'esperienza che per il tempo della durata annulla l'oblio dell'ignoto e trasforma la solitudine in moltitudine. Rinnova in questo senso la società in cui, ontologicamente, la voce del singolo, la presenza singolare esiste in quanto presenza collettiva.
Qualcosa dunque che trascina, che sostiene e accompagna. Un muoversi senza spostarsi, come avviene per il regno vegetale, in cui si manifesta una relazione tra i presenti. Un comunicare attraverso il suono, un suono che tiene uniti. Non sappiamo dove conduce questo percorso ma sappiamo che segue una specifica direzione, che è quella corretta, nel momento in cui ci sono gli elementi necessari: richiami, presenze, suoni determinati. Una struttura multiforme, fluida, che permette di conoscere sé e riconoscere sé. Il mezzo affinché questo avvenga sono gli altri e questa esperienza ha la forza di rendere liberi, almeno per la durata dell'evento, in cui non c'è spazio per il giudizio. Ciò che viene richiesto è presenza esistenziale, la capacità di seguire un flusso sonoro e immaginario lasciando sé per unirsi agli altri sotto altra forma. Una relazione fra esseri viventi che comunicano e sperimentano lo stare insieme in una dimensione estetica ricavandone benessere e piacere.
Didascalia foto:
Fotografia: Flavio Giacchero.
Flŭere (2016).
©
http://www.instagram.com/p/BmAwedRnN5A/?taken-by=flaviogiacchero
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