Con questo secondo numero si aggiungono alcune coordinate, alcuni punti di appoggio che permettono un percorso, una via per orientare in questo viaggio. Brevi immagini, riflessioni che raccontano la musica e la musicalità di una cultura non come accessorio ma come parte intrinseca del respiro esistenziale. Voce e pensiero questa volta sono di donna, una donna straordinaria che tanto ha da raccontare. In questo contesto si estrapolano frammenti di un discorso più ampio. Tasselli di una struttura complessa e mobile, dettagli che disvelano un mondo molto più vasto.
Traduzione della registrazione:
Io sono Apollonia Castagneri. Sono discendente di una famiglia che hanno sempre suonato, cantato e divertito. Mio bisnonno faceva musica e andava ad ascoltare il vento, avvolto in un mantello sotto la balma dietro alle case di Balme e quello che il vento faceva lui lo scriveva in musica. Dopo alla sera si trovavano e si mettevano lì, suonavano, provavano, facevano la musica, ci divertivamo nella stalla, si ballava, si cantava, si suonava.
Era bello. Bello bello perché c'era un altro spirito, erano di compagnia, magari avevano litigato prima perché due mucche avevano sconfinato o cosa, però alla fine si trovavano nella stalla con mezzo bicchiere di vino ne suonavano due ed erano tutti di nuovo amici.
Mio nonno si portava (portava in transumanza, stramuàvet) perfino gli strumenti (intende strumenti musicali, ndr) sull'alpe. Ed era bello perché anche sull'alpe alla fine ci divertivamo con niente però la musica c'era.
La mia famiglia è sempre stata una che ha tenuto tutte le cose. A partire dal mio bisnonno dei barbisìn, loro hanno tenuto tutta la memoria scritta. Tanto vero che abbiamo il “libro delle disgrazie” con la cronistoria di quello che è capitato. Dalle guide che andavano a prenderli (i dispersi, ndr), dai feriti che avevano portato giù… logicamente quando trovavano i feriti che li portavano a Balme vivi, dalle montagne o dagli alpeggi o da dove che andavano a prenderli, se erano vivi o cosa, facevano festa ma proprio festa, festa: suonando, cantando e ballando. Certamente se c'era il morto non si poteva fare festa, però la mia famiglia ha sempre conservato tutto. Io ho continuato, ho tenuto tutto. Ora poi all'epoca di facebook, ringraziando, ho trovato cugini argentini. Da questo autunno, che quando scendo giù (dall’alpeggio, ndr) ho tempo posso fare di nuovo quel che c'è da fare, riprenderemo i contatti perché per adesso ci siamo solo trovati, salutati, scriviamo per vedere se vivono ancora un po' come noi altri. A uno o due mi sembra che la musica piacesse perché andando a sbirciare un poco sopra (sul profilo facebook, ndr), la musica mi sembra piacesse. Ho voglia di sapere.
Testimonianza di Apollonia Castagneri, Polly (1955) località Fré, Balme.
Come un gioco di risonanze.
Il testo, l’intervista, si commenta da sé. Dice molto, è difficile sintetizzare un commento. Si tratta di un flusso di significati che appartengono più al campo poetico che a quello della prosa. Dalle prime frasi si è trascinati immediatamente in un luogo preciso. Ai piedi di quel grande albero genealogico al quale tutti i membri di una comunità in qualche modo appartengono. È forte il senso di appartenenza, sentirsi parte di qualcosa, essere parte di una storia e dichiararlo con orgoglio. Con la consapevolezza che ogni membro, ogni foglia di quell’albero traccia una parte di quella storia, ne influenza la direzione nel tempo, ne è testimone e artefice. Un albero che risuona in cui il tempo presente s’incontra con il passato e ne annulla la distanza attraverso la mitologia, la narrazione. La sua famiglia da sempre fa musica e lo fa anche per gli altri, per divertire gli altri, per stare bene e fare stare bene. Ascoltare il vento e tradurre quel suono in musica è un’immagine fantastica, un’immagine arcaica in cui si possono intravedere le origini del linguaggio. Tradurre qualcosa che è ignoto e restituirlo comprensibile. Mettere ordine nel caos. Ma anche sapere ascoltare, farsi ispirare da quel mondo sonoro che ci circonda e solo apparentemente non ha significato o è caos. Riconoscersi parte di un mondo più vasto che è la Natura e con la quale è possibile interagire, comunicare. Questa stessa comunicazione è trasmessa agli altri membri della società con il suono, con la musica, in un quadro uniforme, un passaggio che trasforma il vento in musica, una sorta di trasmigrazione. Tutto è estremamente liquido e transitorio. Così come la musica si disfa mentre si esegue, il vento attraversa rapido il nostro ascolto e in quella fuggevole transizione per un attimo ci si accorge di essere vivi e di poter condividere questa esistenza. È un’immagine estetica che descrive questa cultura. È un’immagine in cui il suono è l’essenza, ma anche rimedio e cura.
Lo “sconfinare” in un terreno altrui, che sia pascolo, che sia mente, si può risolvere e sciogliere con la musica nel momento in cui ci si ritrova insieme, si ritorna società e si abbandona l’idea della singolarità, dell’individuo, della proprietà privata. Quasi una meta realtà o realtà altra o, meglio ancora, semplicemente un ritorno alla realtà.
La musica è qualcosa che si porta dietro a sé. In questa cultura la tradizione musicale strumentale è molto radicata e fino agli anni Sessanta del Novecento, per quanto riguarda il paese di origine della testimone, si trattava di strumenti a corda. La musica si porta dietro attraverso il mezzo che le dà voce, lo strumento musicale (oltre la voce stessa delle persone). Ritornano risonanze. Lo strumento musicale è qualcosa di “animato”, e come un animale viene condotto all’alpe attraverso la transumanza. Questa immaginifica processione trasmette significati. All’alpe c’è poco, è una situazione transitoria di essenzialità ma la musica non manca in quanto essenziale. Il vocabolo transumanza contiene il termine terra, dal latino humus e indica un andare attraverso, trans, le terre alla ricerca di un pascolo. Attraversare luoghi cercando qualcosa, portando con sé una traduzione del suono del vento, la musica, quasi come una sorta di patto con la Natura: porto con me qualcosa di te che ho compreso affinché il nostro attraversarti non sia nefasto. La musica infatti tiene uniti, scioglie conflitti, permette al gruppo di proseguire il viaggio.
La mia famiglia tiene tutte le cose ma anche ci tiene alle cose tutte, una forma di rispetto. Affascinante il libro delle disgrazie, e significativa la scelta di focalizzare l’attenzione sugli eventi tragici. In questo modo tali eventi vengono esorcizzati perché eccezionali rispetto a un’esistenza che si immagina, nella sua quotidianità e ciclicità, positiva. Inverosimile concepire un reale opposto, in cui la quiete e la serenità siano vissuti come eventi eccezionali mentre le difficoltà e il dramma siano il quotidiano. Eppure, quanta contemporaneità è rovesciata o forse solo immobilizzata in un attimo spazio temporale rispetto alle proprie possibilità.
La tradizione continua, il viaggio prosegue e l’albero si rivela più grande del previsto. La tecnologia è, e dovrebbe essere, mezzo. La testimone ritrova tracce di sé e della propria famiglia in Sud America ed è significativo che l’amore per la musica sia elemento importante per riconoscere somiglianze. Ma ancora più significativo e rivelatore è l’ultimo breve parlato: ho voglia di sapere. Finché questo desiderio è insito nell’umanità il mondo è ancora magico e ha senso rimanere uniti per scoprirlo con stupore e meravigliarsi insieme. Come un gioco di risonanze.
commenta