Con questo primo numero ha inizio la rubrica AMPAI che ho il piacere di realizzare e curare.
Questo primo numero dà anche titolo alla rubrica e ne rappresenta di fatto un’introduzione.
Il formato: una registrazione audio, che consiste in un estratto da interviste a testimoni in lingua francoprovenzale, la traduzione in italiano, un commento per contestualizzare il discorso e offrire spunti riflessivi, un’immagine fotografica.
-Una breve registrazione audio per permettere di ascoltare il suono della lingua francoprovenzale, ricca di sfumature e varianti a seconda dei paesi e dei parlanti. Ascoltare il timbro della voce in cui intravedere qualcosa della personalità dell’intervistato, ascoltare un racconto, il fascino della comunicazione verbale.
-La traduzione letterale in italiano, per mantenere il più possibile espressioni e pensieri e avvicinare a questo mondo linguistico e culturale chi non lo conosce o chi vuole conoscerne aspetti meno noti.
-Un commento per contestualizzare concetti e dinamiche culturali.
-Una fotografia ad accompagnare il racconto e permettere un ulteriore sguardo sull’evento.
Quindi lettura, ascolto e immagine-immaginazione con lo scopo di raccontare attraverso frammenti, concetti, squarci un mondo culturale con una propria specificità, non solo linguistica. Sottolinearne la fragilità e la fatica a sopravvivere in una contemporaneità vorace di uniformare per digerire un prodotto anonimo. Contemporaneità anche ingegnosa nel costruire mura reali e immaginarie con l’illusione di proteggere ma che in realtà non fanno altro che aumentare un pasto vorace che trita e distrugge.
La cultura di cui si andrà a raccontare è inclusiva nel senso che accoglie, include da sempre confronti modificandosi nel tempo ma mantenendo una propria identità e struttura. Un concetto opposto a quello di esclusione, a cui il tempo contemporaneo vuole abituare.
Entriamo nel merito delle prime coordinate che offriranno spunti e chiavi di lettura per meglio conoscere aspetti di questo mondo “minoritario”.
Traduzione della registrazione:
Poi quando arrivavi lì dopo la metà di ottobre, che cadevano tutte le foglie, andavamo a raccogliere le foglie secche (rabastà ampai), ma andavamo sempre di notte quando c’era la luna piena, perché di giorno molte volte c’era un po’ il vento e raccogliere le foglie secche con il vento non puoi. Poi cantavano, però era bello perché da tutte le parti sentivi che raccoglievano le foglie secche e tutti che cantavano. E allora magari dal Malpasso, che è qui vicino a Fubina, iniziavano una canzone, la prima strofa, e noi altri rispondevamo la seconda strofa. Quindi era una musica continua, a parte il suono delle foglie secche e tutti questi cori, dai bambini ai grandi ai vecchi era veramente bello da sentire ed eravamo tutti contenti anche se eravamo nella miseria.
Era una bellezza perché ti trovavi in tanti tutti in fila che avevamo da raccogliere queste foglie secche e il bello era un canto solo, un canto… sentivamo persino quelli dell’inverso, che non è molto vicino. E poi dopo, molte volte, ci fermavamo ad ascoltare il canto che era per cercare di rispondere… una strofa o due. E poi il suono, il suono dell’ampai è uno spettacolo a sentirlo perché sembra… come sentire il mare, l’onda del mare che…quando va contro la terra.
Testimonianza di Giovanni, Vanni Giacchero (1944), che ricorda di quando aveva circa dieci, undici anni nella frazione Fubina di Viù (TO).
Ampai è un termine che significa foglie secche. Non semplici e casuali foglie secche ma le foglie che vanno raccolte in circostanze definite per offrire lettiera alle bestie nelle stalle e riempire accoglienti materassi per il riposo delle persone.
Alen a l’ampai è un invito a raccogliere testimonianze che volano via, un invito a partecipare a un viaggio tanto immaginifico quanto reale. Sono foglie che scendono da un albero genealogico della cultura alpina, nello specifico una piccola comunità di minoranza linguistica. Il gesto di raccogliere produce suono. Il suono è volatile, intangibile ma anche tattile. È possibile abbracciare un suono così come un albero. Il suono dell’ampai è forma, ha una propria struttura e benché apparentemente casuale dispone di un proprio ordine. Mettere ordine nel caos. Dare senso a qualcosa che esiste, è esistito ma è fragile, come una foglia secca. Dare anche nuova vita così come l’ampai serve per rigenerare nel tepore gli animali nelle stalle o il sonno dell’uomo steso su un accogliente materasso. Ogni parola è significato, un significato che va colto, raccolto, trasmesso.
Di frequente, nel tempo, rimangono parole ma svaniscono significati. Ne sono esempio in molti casi le toponomastiche, ma non solo.
Si tratta di spunti di riflessione, frammenti di senso che insieme compongono cultura. Così come le foglie di un albero, cadendo, si possono raccogliere è possibile, se esistono quelle foglie, fare un passaggio temporale a ritroso e tornare all’albero con le proprie fronde verdi. Non si tratta solo di memoria ma di un utilizzo di un certo sapere, di conoscenze che possono essere utili anche in nuovi contesti. Così come l’utilizzo dell’ampai. Sono solo foglie secche eppure sono anche molto altro.
Non si tratta di retorica, tanto meno di nostalgia per un tempo passato. Il tempo attraversa gli eventi e la distanza può essere relativa, se è colto il messaggio.
Il testimone dell’audio ricorda un mondo che ha vissuto da bambino. Un mondo sociale, culturale, legato ancora all’arcaico ciclo delle stagioni, il ciclo dell’anno. Non si tratta di giudizio di valori o di idealizzare un tempo mitico e armonioso, un’Arcadia. Era tempo, come dice il testimone, di miseria ma nonostante tutto, per necessità o abitudine, la gente collaborava, rispondeva a un suono condiviso. Indubbiamente ha contribuito e contribuisce ancora a mantenere società la musica.
L’immagine sonora dei canti che si rispondono trascinando foglie, che nell’immaginario di un bambino diventano un grande mare, in un quadro illuminato dalla luce onirica della luna piena, è estetica.
Ciò che andremo a scoprire con questa rubrica è soprattutto questo, l’estetica di un mondo culturale. Una società in cui il suono, che sia musica strumentale, canto, lavoro quotidiano o natura, ha contribuito certamente a tenere unita.
Frammenti di suoni che come un’eco, un gioco di specchi o un frattale, offrono coordinate acustiche disvelando significati per una società possibile. Un mondo culturale immerso in un paesaggio sonoro e fisico fluido, sospeso su un vortice, ma che ancora r-esiste.
commenta